giovedì 15 marzo 2012
15 Marzo 44 a.C. –Giulio Cesare viene assassinato da un gruppo di senatori romani
Il 15 Marzo del 44 a. C. è stato un giorno che ha cambiato la storia di Roma e forse anche quello degli italiani. In tale data (alle idi di Marzo) avvenne l'assassinio di Gaio Giulio Cesare ad opera di un gruppo di circa sessanta senatori i quali si consideravano custodi e difensori della tradizione e dell'ordinamento repubblicani e che, per loro cultura e formazione, erano contrari a ogni forma di potere personale. Perciò, temendo che Cesare volesse farsi re di Roma (concetto impensabile per i Romani),decisero che era giunto il momento di eliminare il dittatore. Alcuni di loro furono comunque spinti a compiere questo gesto da motivi meno nobili, come il rancore, l'invidia e le delusioni per mancati riconoscimenti e compensi.
Presero parte alla congiura più di 60 persone. A capo ne erano gli ex-pompeiani Caio Cassio, praetor peregrinus, e Marco Bruto, praetor urbanus. Alla congiura aderirono anche alcuni cesariani, tra cui Decimo Bruto, console designato per l'anno seguente, e Trebonio, uno dei migliori generali di Cesare destinato al consolato nel 42.
Cassio era il promotore e il vero capo della congiura. Marco Bruto aderì poco prima dell'assassinio, dando una parvenza di nobiltà all'azione. Infatti Marco Bruto era considerato un filosofo stoico, al di sopra degli interessi venali personali o di classe, benché facesse l'usuraio.
I congiurati furono a lungo incerti se trucidarlo in Campo Marzio mentre faceva l'appello delle tribù in occasione delle votazioni, oppure se aggredirlo sulla via Sacra o all'ingresso del teatro.
Ma quando il Senato venne convocato per le Idi di marzo (15 marzo del 44 a.C.) nella Curia di Pompeo, preferirono quel tempo e quel luogo.
I congiurati portarono in Senato delle casse con le armi, facendo finta che fossero documenti.
Inoltre appostarono un gran numero di gladiatori nel teatro di Pompeo, a poca distanza dalla Curia.
Il giorno delle Idi Cesare non si sentiva bene. Calpurnia, sua moglie, aveva avuto dei tristi presentimenti e lo scongiurava di non andare in Senato. Gli indovini avevano fatto dei sacrifici e l'esito era stato sfavorevole. Cesare pensò di mandare Marco Antonio ad annullare la seduta del Senato.
Allora i congiurati inviarono Decimo Bruto ad esortare Cesare a presentarsi in Senato perchè i senatori erano già da tempo arrivati e lo stavano aspettando. Annullare la seduta a quel punto sarebbe stata un'offesa per i magistrati.
Cesare credette a Decimo Bruto, all'amico fedelissimo, addirittura nominato suo secondo erede nel testamento.
Verso l'ora quinta, circa le undici del mattino, Cesare si mise in cammino. Effettuò le pratiche religiose previste ed entrò nella Curia. Il console Marco Antonio rimase fuori trattenuto da Trebonio.
Cesare era senza la guardia del corpo di soldati ispanici perchè poco tempo prima aveva deciso di abolirla. Solo senatori e cavalieri erano i suoi accompagnatori.
Appena si fu seduto, i congiurati lo attorniarono come volessero rendergli onore.
Cimbro Tillio prese a perorare una sua causa. Cesare fece il gesto di allontanarlo per rinviare la discussione. Allora Tillio lo afferrò per la toga. Era il segnale convenuto per l'assassinio.
Publio Servilio Casca colpì Cesare alla gola. Cesare reagì, afferrò il braccio di Casca e lo trapassò con lo stilo. Tentò di alzarsi in piedi, ma venne colpito un'altra volta.
Cesare vide i pugnali avvicinarsi da ogni parte. Allora si coprì la testa con la toga e con la mano sinistra la distese fino ai piedi. Voleva che la morte lo cogliesse dignitosamente coperto.
Ricevette 23 ferite. Solo al primo colpo si era lamentato. Poi solo silenzio.
Cadde a terra esanime. I senatori fuggirono in preda al panico. Rimasero solo i congiurati.
Tre schiavi deposero il cadavere su di una lettiga e lo riportarono a casa.
Cesare aveva 56 anni.
La vigilia delle Idi, discutendo su quale fosse la morte migliore, aveva detto a Marco Lepido "Ad ogni altra ne preferisco una rapida ed improvvisa". E così era stato.
Inutilmente Bruto cercò di fermare i senatori terrorizzati.
Antonio sfuggì alla morte perché Bruto fermò Cassio intenzionato a far fuori anche il console.
I congiurati, snudando i pugnali insanguinati, si riversarono nel Foro inneggiando alla libertà e a Cicerone.
La notizia della morte di Cesare si sparse per Roma. I negozi vennero chiusi. Le strade divennero deserte.
La gente si chiuse in casa.
A sera, nonostante i tentativi di Bruto, la calma non era ritornata in città e i congiurati decisero di ritirarsi in posizione sicura sul Campidoglio. Alcuni, che non avevano preso parte alla congiura, decisero di unirsi agli assassini sperando di averne vantaggio. Gaio Ottavio e Lentulo Spintere furono tra questi.
Il 16 marzo
Durante la notte Lepido, magister equitum, ossia comandante della cavalleria, venuto a conoscenza di quanto era avvenuto occupò il Foro con i soldati e all'alba parlò al popolo contro gli assassini, che rimanevano rinchiusi sul Campidoglio.
Il console Marco Antonio, che era per poco sfuggito alla morte e aveva trascorso la notte travestito da schiavo, saputo che Lepido aveva preso il controllo della situazione, convocò il Senato nel tempio della dea Tellus.
Alla riunione partecipò anche Cicerone, la cui presenza durante l'assassinio è invece molto dubbia. Si dice che non fosse stato nemmeno informato dai congiurati perché ritenuto non molto affidabile. L'oratore, alla notizia della morte di Cesare, aveva scritto a Minucio Basilo, uno dei congiurati: "Tibi gratulor, mihi gaudeo", ossia "Mi congratulo. Io sono felice". E un mese dopo, il 27 aprile del 44, scriverà ad Attico di: "gioia assaporata con gli occhi, per la giusta morte del tiranno".
In Senato si raggiunse un compromesso tra le varie componenti. Marco Lepido avrebbe voluto sfruttare la forza di cui disponeva, ma Marco Antonio, privo di soldati, non intendeva lasciare il potere a Lepido, per cui si accordò con gli ex-pompeiani.
Il Senato concesse l'amnistia agli assassini, decretò onoranze solenni per Cesare, confermò tutti i decreti e le nomine di Cesare, assegnò a Bruto e ai suoi incarichi prestigiosi fuori Roma.
Tuttavia i congiurati non si fidavano a scendere dal Campidoglio e chiesero in ostaggio il figlio di Lepido e il figlio di Antonio. Poi Bruto andò a cena da Lepido, di cui era parente e Cassio a cena da Antonio.
Il testamento di Cesare
Su richiesta del suocero Lucio Pisone, in casa del console Antonio, venne aperto il testamento di Cesare, scritto alle Idi di settembre del 45 nella sua villa sulla via Labicana e affidato in custodia alla Vestale Maggiore.
Eredi erano nominati i suoi tre pronipoti per parte delle sorelle: Caio Ottavio ereditava i tre quarti, Lucio Pinario e Quinto Pedio il quarto residuo. Caio Ottavio veniva adottato.
Tra i tutori venivano nominati molti di coloro che poi l'avrebbero ucciso. Decimo Bruto era indicato secondo erede, ossia sarebbe subentrato ad Ottavio qualora questi non fosse venuto in possesso dell'eredità.
Al popolo vennero lasciati i giardini intorno al Tevere e 300 sesterzi furono assegnati ad ogni cittadino romano.
Davanti ai Rostri, nel Foro, fu costruita un'edicola dorata, che riprendeva le forme del tempio di Venere Genitrice. All'interno su di un trofeo venne esposta la toga insanguinata che Cesare indossava al momento dell'assassinio.
Su di un cataletto d'avorio coperto di porpora e d'oro, portato a spalla dai magistrati, venne portato il corpo di Cesare davanti ai Rostri e deposto all'interno dell'edicola.
Durante i ludi funerari furono cantati dei versi, tra cui: "E io ne avrei salvati tanti per conservare chi perdesse me?" (Pacuvio, Giudizio delle armi)
Antonio fece leggere il senatoconsulto con cui i senatori si erano impegnati per la salvezza di Cesare. Poi tenne il discorso funebre.
Si discusse se cremare il corpo nel tempio di Giove Capitolino o nella Curia di Pompeo. Ma improvvisamente due uomini, con la spada al fianco e armati di giavellotto, gettarono due ceri accesi sul cataletto.
Immediatamente il popolo alimentò il fuoco portanto fascine e distruggendo le tribune di legno che erano state innalzate per la cerimonia.
I veterani delle legioni gettarono nelle fiamme le loro armi, le matrone i loro gioielli, i musicisti e gli attori, che avevano rappresentato gli antenati del defunto, le vesti indossate per l'ultimo trionfo di Cesare.
Intorno al rogo si avvicendarono anche gli stranieri ed in particolare i Giudei riconoscenti verso Cesare, che li aveva liberati dall'oppressione di Pompeo.
Intanto il popolo aveva preso dei tizzoni ardenti e si era diretto verso le case di Bruto e di Cassio per incendiarle, ma venne bloccato dai soldati.
In seguito
La Curia dove era avvenuto l'assassinio venne murata.
Le Idi di marzo presero il nome del "Giorno del parricidio".
Venne proibito di convocare il Senato in quel giorno.
Nel Foro venne innalzata una colonna di marmo con la scritta "Parenti Patriae", al Padre della Patria.
I CONGIURATI
Marco Bruto
Marco Giunio Bruto era figlio di Marco Giunio Bruto, tribuno della plebe nell'83 a.C.
Nacque verso l'85 a.C. da Servilia, sorellastra di Catone Uticense, e venne adottato dallo zio Quintus Servilius Caepio.
Servilia era stata uno degli amori giovanili di Giulio Cesare e i rapporti tra i due si mantennero sempre abbastanza intimi. Non è certo se il vero padre di Bruto fosse proprio Cesare.
Bruto studiò in Grecia. Venne considerato un filosofo di tendenze stoiche.
Fu stimato da Cicerone, che gli dedicò tre opere (De finibus bonorum et malorum; Orator, un gruppo di Lettere).
Nel 53 fu questore di Appio Claudio in Cilicia.
Bruto prestava denaro ad usura, anche del 48 per cento quando il tasso normale era del 12, e non mancava di utilizzare i soldati romani per riavere indietro i denari prestati. Cicerone, divenuto governatore della Cilicia, si rifiutò di mandare i militari romani a riscuotere un debito contratto dalla città di Salamina a Cipro, nonostante le reiterate insistenze di Bruto, che tra l'altro aveva cercato di nascondersi dietro due prestanome (Marco Scapzio e Publio Matinio) ingannando lo stesso Cicerone.
Bruto non era insolito a gesti del genere. Quando Appio Claudio era governatore della Cilicia, prima di Cicerone, aveva potuto godere di ogni appoggio militare in quanto Appio era suo suocero. Infatti Bruto in prime nozze aveva sposato sua figlia.
Nella guerra civile tra Cesare e Pompeo fu sostenitore di Pompeo, nonostante questi nel 77 avesse fatto uccidere suo padre, nonostante si fosse arreso a Modena.
Dopo Farsalo (48 a.C.) venne perdonato da Cesare ed entrò a far parte del suo stato maggiore, abbandonando Pompeo in fuga verso l'Egitto.
Nel 46 divorziò dalla moglie Claudia, figlia di Appio Claudo, e sposò Porcia, figlia di Catone Uticense, che era stato acerrimo nemico di Cesare. Porcia fu l'unica donna a conoscenza della congiura.
Nel 46 ebbe il governo della Gallia Cisalpina.
Nel 44 fu nominato praetor urbanus da Cesare.
Alle Idi di marzo, mentre aspettava Cesare nella Curia, gli giunse la notizia che sua moglie Porcia stava morendo. Bruto mantenne la calma e decise di non andare a casa. In realtà Porcia era solo svenuta a causa di un attacco di ansia non avendo notizie del marito, ma questo Bruto non lo poteva sapere.
Dopo la morte di Cesare fu, insieme a Cassio, il capo della guerra contro Ottaviano e Antonio.
Nel 42 morì suicida a Filippi.
Cassio
Caio Cassio Longino (prima dell'85 - 42 a.C.) fu questore di Crasso nella spedizione contro i Parti nel 53 a.C. Dopo la sconfitta ebbe l'incarico di difendere la Siria.
Fu cognato di Bruto, avendo sposato la di lui sorella Iunia Tertia.
Nel 49 fu tribuno della plebe.
Fu dalla parte di Pompeo durante la guerra civile che oppose questi a Cesare.
Venne perdonato da Cesare dopo Farsalo (48 a.C.). Divenne praetor peregrinus.
Cesare gli aveva promesso il consolato entro tre anni.
Nel 42 morì suicida a Filippi, dove comandava l'ala sinistra dello schieramento dei congiurati. Cassio stava per essere sconfitto e non sapeva che all'ala destra Bruto stava vincendo.
Decimo Bruto
Decimo Giunio Bruto era figlio di Decimo Bruto, console nel 77 a.C. Venne adottato da Postumio Albino.
Poco più giovane di Marco Bruto partecipò alla guerra in Gallia. Molto stimato da Cesare, riportò la vittoria sulla tribù dei Veneti.
Cesare gli aveva affidato la Gallia Cisalpina e lo aveva designato console per l'anno seguente.
Nel suo testamento Cesare lo aveva dichiarato tutore di Ottaviano e suo erede.
Dopo l'assassinio di Cesare e la guerra di Modena si rifugiò nella Gallia Comata. Non essendo riuscito a trascinare dalla sua parte il governatore Planco, tentò di raggiungere la Macedonia per ricongiungersi con Bruto e Cassio. Ma venne catturato ed ucciso per ordine di Antonio.
Trebonio
Gaio Trebonio fu tribuno della plebe nel 55 a.C.
Luogotenente di Cesare in Gallia negli anni 55-50.
Nel 49 condusse l'assedio di Marsiglia.
Dopo l'uccisione di Cesare fu proconsole in Asia, dove morì ucciso da Dolabella.
Fu amico di Cicerone.
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