domenica 4 marzo 2012
Torna la paura dalla spazio. Il suo nome è 2011 AG5, un asteroide che si avvicina alla Terra e che nel febbraio 2040 potrebbe "incontrare" la nostra Terra. L'allarme, come al solito dilaga sul web, ma sulla possibilità di un impatto con il nostro pianeta i tecnici della Nasa sono scettici e la definiscono "altamente improbabile".
Gli stessi esperti ricordano come al momento la conoscenza di questo sasso spaziale sia ancora insufficiente per poter fare previsioni a lungo termine. Infatti per quanto se ne sa oggi, 2011 AG5 è solo uno degli 8.744 oggetti spaziali che possono avvicinarsi pericolosamente alla Terra, chiamati Near Earth Objects (Neo).
L'asteroide è stato scoperto l'8 gennaio 2011 dagli astronomi dell'osservatorio di Mount Lemmon in Arizona, ha un diametro di 140 metri e segue un'orbita che ancora non conosciamo alla perfezione: infatti con la posizione del cielo diurno oggi, infatti, non è possibile fare delle osservazioni dell'asteroide usando telescopi terrestri. E, di conseguenza, sono impossibili le previsioni su un impatto con il nostro pianeta.
Secondo i calcoli ancora parziali degli esperti del Neo della Nasa, c'è una sola probabilità su 625 che la Terra venga colpita nel febbraio del 2040. In base alla cosiddetta "scala Torino" che valuta i rischi di impatto è al primo dei dieci livelli.
La fine del mondo non è dietro l’angolo, ma nei prossimi decenni potremmo vedercela brutta. È lo scenario che si profila considerando due minacce che provengono dal cielo: Apophis 99942, asteroide di cui già da tempo è nota la possibilità – per la verità piuttosto remota – che entri in rotta di collisione con la Terra nel 2036, e ora un nuovo sasso spaziale che potrebbe colpirci nel 2040. Anche se le probabilità, in tutti i casi, sono di quelle sufficienti a farci dormire sonni tranquilli per un po’, fanno comunque riflettere le agenzie spaziali sulla necessità di dotarsi quanto prima di sistemi in grado di scoprire, monitorare e contrastare queste minacce.
L'asteroide del 2040
Che danni può invece provocare un asteroide come 2011 AG5? Andiamo da tsunami con onde alte alcune centinaia di metri, tali da spazzare via qualunque cosa per chilometri in profondità nell’entroterra dei paesi costieri interessati, a terremoti fino al grado 10 Richter nelle aree limitrofe al cratere d’impatto. Il danno peggiore sarebbe comunque causato dalla polvere alzata dall’impatto, proiettata fin negli strati più alti dell’atmosfera. Lì, le correnti porterebbero le polveri a distribuirsi su tutta la Terra, deflettendo la luce solare, provocando una sorta di “inverno nucleare” (com’è definita l’analoga possibilità prodotta dall’esplosione di più ordigni nucleari in una guerra atomica). A seconda della portata dell’impatto, questo inverno comporterebbe danni ai raccolti più o meno gravi, con carestie di portata planetaria tali da decimare la popolazione mondiale.
Apophis, l'asteroide del 2036
Prima del 2040 potremmo vedercela con un’altra minaccia: quella di Apophis 99942, di cui è nota la possibilità – più remota, tuttavia, di 2011 AG5 – di incrociare la Terra. Con un diametro di 350 metri, costituisce sicuramente un rischio più alto in termini di effetti distruttivi. Scoperto nel giugno 2004 da un altro osservatorio dell’Arizona, il Kitt Peak Nationa Observatory, provocò un grande allarme all’epoca, perché le stime iniziali davano buone probabilità di una collisione nel 2029. Da allora, Apophis (il cui nome deriva dalla parola greca per “distruttore”) non ha smesso di spaventare, nonostante le successive osservazioni ne abbiano significativamente ridotta la minaccia.
Il punto di massimo avvicinamento di Apophis nel 2029. Allora potrebbe cambiare orbita e diventare un rischio per la Terra nel 2036.
Infatti, una successiva valutazione ha permesso di escludere completamente qualsiasi possibilità di impatto per il 2029, calcolando invece una nuova data di rischio per il 13 aprile 2036. Ma le probabilità sono bassissime: inizialmente stimate a 1 contro 6000, calcoli sempre nuovi ne stanno ridimensionando sempre di più la minaccia, che oggi è di appena 1 su circa 250.000. Allora, di che parliamo? C’è sempre la possibilità che qualcosa vada storto. Che l’orbita venga deviata dall’influenza gravitazionale di un altro corpo celeste, o della Terra stessa, e che il sasso spaziale entri in un’orbita di collisione. Sono tutti eventi prevedibili con largo anticipo, se la scoperta avviene con un analogo anticipo, come nei casi di Apophis 99942 e di 2011 AG5. Per entrambi, il prossimo appuntamento è per il 2013: la minore distanza dalla Terra permetterà di fare calcoli e valutazioni più realistiche.
Soluzioni contro le minacce spaziali
E' noto l’allarme lanciato a più riprese dell’astrofisica Margherita Hack per Apophis. In realtà, l’allarme non riguarda il rischio dell’asteroide in sé, ma la possibilità che nuovi sassi spaziali possano prima o poi scontarsi con la Terra. Eventi rari, certo, ma avvenuti in passato. Forse non porterebbero all’estinzione della razza umana, ma di sicuro comprometterebbero la sopravvivenza della civiltà contemporanea, così profondamente interconnessa e interdipendente. Per questo le agenzie spaziali di mezzo mondo stanno elaborando da alcuni anni soluzioni che permettano al pianeta di dotarsi di difese spaziali. Suona fantascientifico, ma il rischio è troppo grande per lasciarsi cogliere impreparati.
L'asteroide YU55 ci ha sfiorati nel novembre 2011. Aveva una dimensione di appena 20 metri.
L’agenzia russa Roscosmos sta lavorando a sonde capaci di atterrare su asteroidi deviandone la rotta grazie a potenti razzi propulsori. Atterraggi “in corsa” su asteroidi sono già stati realizzati da sonde NASA, per cui la fattibilità tecnica dell’impresa è già stata dimostrata; bisognerebbe invece verificare la possibilità di deviare corpi molto massicci: servirebbero propulsori di grande potenza. La NASA lavora piuttosto alla possibilità di lanciare oggetti che devino la rotta dei bolidi spaziali provocando interferenze gravitazionali a distanza, quindi senza atterrare sul corpo celeste. L’agenzia spaziale cinese studia invece una sonda da lanciare ad altissime velocità in direzione dell’asteroide: schiantandosi sulla sua superficie, nonostante le dimensioni ridotte della sonda, l’alta velocità permetterebbe di deviarlo.
C’è tutto il tempo per correre ai ripari, assicura il direttore della NASA, Charles Bolden. “La missione Deep Impact è stata condotta in sei anni, il che dimostra che una finestra di sette anni è più che sufficiente per preparare una risposta adeguata al rischio”, sostiene Bolden. “Deep Impact” era il nome della sonda che nel 2005 atterrò sulla cometa Tempel 1 per studiarne la composizione. Un’impresa storica, che dimostra come siano avanzate le nostre tecnologie di atterraggio in corsa nello spazio. Nel caso peggiore, potremmo sempre ricorrere a una salva di testate nucleari.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento