lunedì 9 luglio 2012

Politica. Le provincie a rischio.........





Sessantuno Province sono a rischio. E dieci città metropolitane potrebbero vedere presto la luce, dall’1 gennaio 2014: Torino, Genova, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria. Sono gli effetti del decreto sulla spending review che può modificare l’assetto degli enti locali. I criteri dei tagli si conosceranno soltanto a fine mese, ma è molto probabile che i numeri non si discostino troppo da quelli enunciati negli ultimi giorni. Il Governo ha le idee chiare: vuole dimezzare il numero delle Province italiane, tramite “soppressione” o “accorpamento”. Nascerà, tra un anno e mezzo, la figura del sindaco metropolitano. In pratica: le cariche di sindaco e presidente della provincia condensate in una sola persona, con il rischio che molti italiani si ritrovino governati da una persona mai eletta.

Le regioni più colpite dai tagli potrebbero essere Emilia Romagna, Lombardia e Toscana dove sopravviverebbero, rispettivamente, Bologna, Parma, Milano, Brescia e Firenze. Ovvero: cinque province su 31. Ma la sforbiciata colpirebbe l’intera Penisola, dal Piemonte alla Calabria. I numeri complessivi parlano di «circa 50 Province da mantenere rispetto alle 107 attuali», hanno fatto sapere da Palazzo Chigi. Ma con quale criterio finiranno nell’archivio più della metà di quelle esistenti? Due, al momento, i parametri fissati: sopravviveranno i centri con almeno 350mila abitanti e una superficie uguale o superiore a 3mila chilometri quadrati. L’ultimo, il numero dei comuni nel territorio provinciale, è stato cancellato in extremisAlla guida delle Province che sopravviveranno, ci saranno soltanto il presidente e il consiglio: scontato l’addio alle giunte. Diminuiranno anche i poteri, con scuola e centri per l’impiego che potrebbero divenire di competenza delle città metropolitane.

 In Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna il Governo potrà soltanto rendere noto un atto d’indirizzo, ma senza alcun obbligo di rispetto. La Sardegna, due mesi fa, ha deciso di cancellare le ultime quattro Province con un referendum abrogativo: sono state così abolite Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Sulcis Iglesiente. Peccato, però, che il governo regionale abbia di tenerle in vita fino al prossimo 28 febbraio con una legge “ad hoc”. In Sicilia, invece, si potrebbe andare alle urne a ottobre e quel punto diverrebbe problematico ridurre le Province: da nove a cinque, con Trapani e i capoluoghi sudorientali (Siracusa, Raguesa ed Enna) soppressi. Senza dimenticare che, proprio per l’autonomia, nell’isola esistono già tre macroaree: Messina, Catania e Palermo.

A ranalizzare la bozza del provvedimento, emergono alcune contraddizioni. Per esempio: Torino, creata come Provincia ancor prima che l’Italia fosse unificata, scomparirà in favore della città metropolitana. Sarà il primo caso di un ente creato prima dello Stato che scomparirà nei prossimi 12 mesi. E poi ci sono gli esempi di Monza e Brianza, Barletta-Andria-Trani e Fermo, ultime Province create nel 2004 e divenute ufficialmente operative con le elezioni del 2009: se non si fossero staccate dai precedenti capoluoghi, non si ritroverebbero costrette a dover scegliere con chi parteggiare. Dalle parti di Arcore è scontato il ricongiungimento con Milano, così come nelle Marche sarà Ascoli ad assorbire nuovamente il centro noto per le industrie calzaturiere. In Puglia, invece, la Bat potrà scegliere: tra Bari, la vecchia egemone, e Foggia. Per Taranto, Brindisi e Lecce, il destino appare segnato: inglobate nella città metropolitana rappresentata dall’attuale capoluogo regionale. A meno che non decidano di coalizzarsi, pur di non sparire: a decidere sugli accorpamenti, di cui si inizia già a parlare in tutte le regioni, saranno i consigli regionali. Anomala è anche la situazione della Calabria, con la Provincia di Catanzaro (capoluogo di regione) a un passo dalla soppressione in favore della futura città metropolitana, Reggio Calabria, che sarà trasformata con un’apposita legge. In riva allo Stretto, infatti, gli abitanti sono 190mila e arrivano a 600mila con l’intera provincia. Infine La Spezia, 95mila abitanti: salvata perché, stretta tra Genova e la Toscana, risulterebbe difficile da accorpare all’una o all’altra parte.

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