martedì 12 febbraio 2013

Il Papa e le dimissioni


Il Papa non «scende dalla croce», si riconosce fragile e così relativizza anche il papato romano

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO


 
Le parole dell'ex segretario di Papa Wojtyla, il cardinale Stanislaw Dziwisz, sul fatto che Giovanni Paolo II «non è sceso dalla croce», sono apparse, al di là delle intenzioni di chi le ha pronunciate, come un giudizio negativo sulla clamorosa scelta di Benedetto XVI. Il Papa infatti si è liberamente dimesso - anzi, ha annunciato che lo farà formalmente alle otto di sera del 28 febbraio - perché sente venir meno le forze. Ma non ha, all'apparenza, malattie particolari. Né si può dire che si stiano affievolendo le sue capacità intellettuali, come dimostra la lectio divina che ha tenuti a braccio ai seminaristi romani qualche giorno fa. Perché dunque il Papa «scende dalla croce»? È forse un modo per fuggire alle sue responsabilità?

 
Nell'omelia d'inizio del pontificato, nell'aprile 2005, Benedetto XVI aveva chiesto ai fedeli di pregare: «Pregate, perché non fugga davanti ai lupi». E di «lupi», in questi quasi quattro anni di pontificato, se ne sono presentati tanti. Il Papa li ha affrontati con mitezza. Poi ha scelto di lasciare il pontificato in un momento di calma, dopo la conclusione dei vatileaks, dopo aver consegnato alla Chiesa regole più ferree contro gli abusi sessuali sui minori commessi dai chierici.

 
La «croce» del pontificato era diventata troppo pesante da portare? Certamente sì, altrimenti l'anziano teologo bavarese non sarebbe arrivato a una decisione così clamorosa, un precedente nella storia della Chiesa, dato che nessuna delle rarissime dimissioni avvenute nei due millenni precedenti è paragonabile alla sua. Ma proprio in questo gesto possiamo scorgere l'ultimo grande insegnamento di Papa Ratzinger. Del Papa che nel primo discorso ai cardinali nella Sistina dopo l'elezione aveva detto che il Pontefice deve far risplendere «la luce di Cristo, non la propria». Tutto in questi anni travagliati di pontificato è stato da lui compiuto per far comprendere alla Chiesa che la guida vera della Chiesa stessa non è il Papa né il suo protagonismo né il suo eroismo, nella sua solitaria figura issata in un pinnacolo ed esposta all'occhio impietoso delle telecamere. La guida della Chiesa è Gesù, del quale il Papa è «soltanto» il vicario.
 

Nell'ammissione della sua fragilità fisica e psicologica, nel gesto umile e libero di lasciare il pontificato, è contenuto dunque ancora una volta questo insegnamento. Che in qualche modo «relativizza» anche il pontificato romano. Il Papa è tale perché è vescovo di Roma. I vescovi a 75 anni devono rassegnare le dimissioni, e abituarsi all'idea di essere «emeriti». Con il Papa non accadeva e non bisogna certo nascondersi che un Papa emerito e per di più inquilino del Vaticano rappresenta una figura ingombrante per qualsiasi suo successore. Eppure, nonostante queste difficoltà, nella richiesta di perdono per i suoi difetti e nell'ammissione dell'impossibilità di procedere oltre nel suo ministero, si scorge un esempio di grande realismo cristiano. I «ministri» in servizio della Chiesa sono tutti uomini fragili. Da colui che siede sul trono di Pietro fino all'ultimo dei sacerdoti.

Fonte: Vatican Insider

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