La reazione islamista alla deposizione del presidente Mohammed Morsi da parte dell’esercito parte al mattino dalla penisola del Sinai e arriva nel pomeriggio al Cairo, con una escalation di violenza che annuncia il peggio per il paese. Ieri ci sono stati attacchi nel nord del Sinai con colpi di mortaio e armi da fuoco contro almeno quattro bersagli, tra cui una stazione di polizia, una dell’intelligence militare e i checkpoint di guardia all’aeroporto internazionale di al Arish. Pur nella loro violenza queste sono operazioni standard per i gruppi estremisti che infestano quell’area di frontiera e non ci sono collegamenti diretti e provati con i Fratelli musulmani, che però proprio ad al Arish giovedì sera hanno annunciato con tono bellicoso la creazione di un “Consiglio di guerra” per reagire all’usurpazione di potere da parte dei generali. Gli scontri sono proseguiti per ore, un soldato e due poliziotti sono stati uccisi e una folla di sostenitori armati di Morsi ha espugnato il palazzo del governatore di Arish. Poco dopo l’inizio degli attacchi è arrivata la notizia di una dichiarazione di “stato d’emergenza nel sud del Sinai e a Suez”, che però i militari hanno smentito. Più a nord sono stati chiusi i valichi con la Striscia di Gaza, dove governa Hamas – gruppo palestinese costola della Fratellanza egiziana. L’apertura al traffico dopo la cacciata di Hosni Mubarak era stata un momento fortemente simbolico.
Dopo la preghiera del venerdì nella capitale sono cominciate le marce e i sit-in dei Fratelli musulmani, che si sono concentrati soprattutto attorno al quartier generale della Guardia repubblicana dove si crede sia tenuto agli arresti il presidente deposto Morsi. Un paio di tentativi di manifestanti disarmati di avvicinarsi al filo spinato e alla prima linea dei soldati con alcune foto di Morsi sono finiti in modo orribile: uno di loro è stato ucciso con un colpo di pistola in faccia davanti alle telecamere da un agente in borghese, ci sono stati almeno altri due morti. La Guida spirituale dei Fratelli, Mohammed Badie, ha tenuto in piazza un’arringa contro il colpo di stato, senza inviti espliciti alla violenza: sopra la sua testa i passaggi intimidatori degli elicotteri Apache.
I sostenitori di Morsi hanno puntato anche verso l’edificio della tv di stato a Maspero, lungo il Nilo, ma così facendo sono entrati in contatto con il sit-in dei manifestanti che ancora occupa piazza Tahrir per celebrare la deposizione del rais grazie all’intervento dei militari, e l’incontro è stato violento. Tra le spire d’asfalto delle rampe che accedono ai ponti sul Nilo le due fazioni si sono affrontate con pietre, fuochi d’artificio e anche armi da fuoco: testimoni oculari raccontano di pistolettate, cartucce a pallini e raffiche di armi automatiche e anche qui di morti, forse quattro. Nel momento in cui questo giornale va in stampa questa cifra è ancora da verificare. Dalla scena mancavano come spesso succede polizia ed esercito, che hanno lasciato che la battaglia urbana infuriasse per ore senza intervenire.
Gli scontri nel centro della capitale sono l’inizio dello scenario più temuto, un confronto violento tra gli islamisti che si proclamano defraudati della loro prima chance di governo dopo ottantacinque anni di attesa – gestita peraltro in modo disastroso – e il pezzo di paese che ha protestato domenica 30 giugno e ha accettato l’intromissione a lungo preparata dei generali.La prima fase è stata l’imposizione di un coprifuoco e se le violenze dureranno arriverà anche l’annuncio dello “stato d’emergenza”, che conferisce poteri speciali alle forze di sicurezza. E’ fuori di dubbio che i militari non cederanno alle richieste dei Fratelli e non rimetteranno Morsi al suo posto, piuttosto sceglieranno la strada della repressione. E senz’altro i Fratelli sono più bravi a indossare i panni dei martiri contro il potere laico piuttosto che al governo, a trattare con il Fondo monetario internazionale, un compito per cui non sono sembrati attrezzati durante il loro anno di permanenza al potere.
Su tutto incombe anche il rischio dell’intervento dei gruppi che finora sono stati a margine ma che potrebbero sentirsi legittimati a farsi avanti: gli estremisti – da distinguere dai Fratelli musulmani – fanno appello a procurarsi armi, a unificare la causa islamista in un unico fronte, a non cadere più nell’inganno della partecipazione alle elezioni democratiche, rivelatesi un’illusione. Il colpo di stato al Cairo, scrive Shadi Hamid, analista della Brooking Institution di Doha, è stato un colossale spot per al Qaida, che pure due anni fa era stata messa da parte e sminuita dalle rivluzioni nel mondo arabo – perché scegliere il terrorismo infatti, quando il popolo riesce a liberarsi dei despoti affrontandoli in piazza?
Fonte: Il Foglio
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