Lumen fidei: un’enciclica sulla fede posta nell’orizzonte della luce. L’immagine è importante per delineare il cammino che papa Francesco intende proporre alla Chiesa con questo suo primo documento ufficiale. La luce è una categoria determinante per la fede perché riporta a testi chiave del Nuovo Testamento. Se a questo si aggiunge che il secondo termine che ricorre con maggior frequenza e intensità è quello di amore, allora si può concretamente affermare che l’enciclica di Papa Francesco è un percorso efficace, ricco di suggestioni che viene posto dinanzi ai credenti per camminare nell’intelligenza della fede e per dare sostegno alla loro testimonianza nel mondo.
Le prime parole dell’enciclica riportano alla fede come luce per dare senso all’esistenza personale: “Chi crede, vede” (Lf 1). L’affermazione tanto perentoria quanto simbolica immette immediatamente nel cuore della tematica, indicando la fede come “incontro con il Dio vivente che ci chiama e ci svela il suo amore” (Lf 4). Si è rimandati al vangelo di Giovanni dove Gesù, tra le tante espressioni per rivelare il suo mistero, utilizza l’immagine della luce: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Queste parole sono lo scenario significativo su cui papa Francesco costruisce la sua riflessione. La fede in Gesù è la luce che permette a ogni persona di ritrovare il senso sulla propria vita.
Papa Francesco con Lumen fidei si pone in continuità con il magistero di papa Benedetto XVI.Riconosce, anzitutto, che ha ricevuto dal suo predecessore del materiale che ha voluto poi rielaborare: “Egli aveva quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fratellanza di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro aggiungendo al testo ulteriori contributi” (Lf 7). Un’attenta analisi del testo, comunque, evidenzia che realmente questa può essere ritenuta l’ultima enciclica di Benedetto e la prima di Francesco. Ne fa testimonianza, oltre alla citazione fatta, il richiamo alla circolarità tra fede, speranza e carità a cui il documento rimanda: “Queste considerazioni sulla fede… intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza… Fede, speranza e carità costituiscono, in un mirabile intreccio, il dinamismo dell’esistenza cristiana verso la comunione piena con Dio” (Lf 7).
In effetti, in prospettiva dell’Anno della fede si era chiesto ripetutamente a Benedetto XVI di scrivere un’enciclica sulla fede che venisse in qualche modo a concludere la triade che egli aveva iniziato conDeus caritas est sull’amore, e Spe salvi sulla speranza. Il Papa non era convinto di dover sottoporsi a questa ulteriore fatica. L'insistenza, tuttavia, ebbe la meglio e così il Papa decise che avrebbe scritto l’enciclica per offrirla a conclusione dell’Anno della Fede. La storia ha voluto diversamente. L’enciclica sulla fede, comunque, viene ora offerta da Papa Francesco con forte convinzione e come un “programma” su come continuare a vivere questa esperienza che ha visto tutta la Chiesa impegnata per un anno intero in tante esperienze significative.
Bisogna dire senza esitazione, comunque, che questa enciclica pur riprendendo alcune intuizioni e alcuni contenuti propri del magistero di Benedetto XVI, è pienamente un testo di papa Francesco.
Qui si ritrova il suo stile, e la peculiarità dei contenuti a cui ci ha abituato in questi primi mesi del suo pontificato, soprattutto con le sue omelie quotidiane. A conferma di questo, si può far riferimento al primo Discorso ai Cardinali, all’indomani dell’elezione a Successore di Pietro, il Papa parlando senza un testo scritto, aveva presentato il suo “programma”. Esso, si risolveva in tre verbi: “camminare”, “costruire”, “confessare”. Aveva ripetuto più volte la triade quasi a voler convincere dell’importanza di questa prospettiva per la Chiesa dei prossimi anni. Ebbene, questa triade la si ritrova in questa prima enciclica come struttura che sostiene e spiega la fede. “Camminare” e “cammino” sono ribaditi con frequenza in queste pagine; alla stessa stregua, “costruire”, lo si ritrova come un ritornello nel quarto capitolo; mentre il terzo, “confessare”, attesta l’esigenza della fede come risposta alla chiamata di Dio (cfr Lf 35.37).
Le prime parole dell’enciclica riportano alla fede come luce per dare senso all’esistenza personale: “Chi crede, vede” (Lf 1). L’affermazione tanto perentoria quanto simbolica immette immediatamente nel cuore della tematica, indicando la fede come “incontro con il Dio vivente che ci chiama e ci svela il suo amore” (Lf 4). Si è rimandati al vangelo di Giovanni dove Gesù, tra le tante espressioni per rivelare il suo mistero, utilizza l’immagine della luce: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Queste parole sono lo scenario significativo su cui papa Francesco costruisce la sua riflessione. La fede in Gesù è la luce che permette a ogni persona di ritrovare il senso sulla propria vita.
Papa Francesco con Lumen fidei si pone in continuità con il magistero di papa Benedetto XVI.Riconosce, anzitutto, che ha ricevuto dal suo predecessore del materiale che ha voluto poi rielaborare: “Egli aveva quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fratellanza di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro aggiungendo al testo ulteriori contributi” (Lf 7). Un’attenta analisi del testo, comunque, evidenzia che realmente questa può essere ritenuta l’ultima enciclica di Benedetto e la prima di Francesco. Ne fa testimonianza, oltre alla citazione fatta, il richiamo alla circolarità tra fede, speranza e carità a cui il documento rimanda: “Queste considerazioni sulla fede… intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza… Fede, speranza e carità costituiscono, in un mirabile intreccio, il dinamismo dell’esistenza cristiana verso la comunione piena con Dio” (Lf 7).
In effetti, in prospettiva dell’Anno della fede si era chiesto ripetutamente a Benedetto XVI di scrivere un’enciclica sulla fede che venisse in qualche modo a concludere la triade che egli aveva iniziato conDeus caritas est sull’amore, e Spe salvi sulla speranza. Il Papa non era convinto di dover sottoporsi a questa ulteriore fatica. L'insistenza, tuttavia, ebbe la meglio e così il Papa decise che avrebbe scritto l’enciclica per offrirla a conclusione dell’Anno della Fede. La storia ha voluto diversamente. L’enciclica sulla fede, comunque, viene ora offerta da Papa Francesco con forte convinzione e come un “programma” su come continuare a vivere questa esperienza che ha visto tutta la Chiesa impegnata per un anno intero in tante esperienze significative.
Bisogna dire senza esitazione, comunque, che questa enciclica pur riprendendo alcune intuizioni e alcuni contenuti propri del magistero di Benedetto XVI, è pienamente un testo di papa Francesco.
Qui si ritrova il suo stile, e la peculiarità dei contenuti a cui ci ha abituato in questi primi mesi del suo pontificato, soprattutto con le sue omelie quotidiane. A conferma di questo, si può far riferimento al primo Discorso ai Cardinali, all’indomani dell’elezione a Successore di Pietro, il Papa parlando senza un testo scritto, aveva presentato il suo “programma”. Esso, si risolveva in tre verbi: “camminare”, “costruire”, “confessare”. Aveva ripetuto più volte la triade quasi a voler convincere dell’importanza di questa prospettiva per la Chiesa dei prossimi anni. Ebbene, questa triade la si ritrova in questa prima enciclica come struttura che sostiene e spiega la fede. “Camminare” e “cammino” sono ribaditi con frequenza in queste pagine; alla stessa stregua, “costruire”, lo si ritrova come un ritornello nel quarto capitolo; mentre il terzo, “confessare”, attesta l’esigenza della fede come risposta alla chiamata di Dio (cfr Lf 35.37).
IL GRANDE OBLIO
L’enciclica non presenta una parte specifica dove si analizza il contesto culturale all’interno del quale i cristiani sono chiamati a vivere la loro fede. Le considerazioni precise e lineari che Papa Francesco scrive sulla cultura dei nostri giorni ritornano qua e là nelle pagine di Lumen fidei. La complessità della materia, d’altronde, impedisce di raccogliere in pochi paragrafi una valutazione su una problematica così difficile e diversificata. E’ utile, comunque, che per lo scopo di questa introduzione si accenni a una visione sintetica della tematica per favorire una lettura più unitaria del fenomeno e per un approccio più coerente con i contenuti dell’enciclica. La prima considerazione che giunge da Papa Francesco è che la modernità con la sua conquista di porre al centro la ragione, ha posto anche le premesse per un ateismo di fatto, concludendo che l’uomo poteva ormai fare a meno di Dio. Vivere nel mondo come se Dio non esistesse è stato lo slogan del secolarismo con l’intento di far scomparire perfino l’idea stessa di Dio. Solo in questo modo l’uomo avrebbe conservato la sua raggiunta autonomia e indipendenza, rimanendo purtroppo nell’illusione di potersi salvare da solo. In questo modo, progressivamente, si è giunti al rifiuto della fede. Si è preferito pensare ad essa come ad una condizione di “buio”, a un “salto nel vuoto” in contrapposizione alla “luce della ragione” (Lf 3), piuttosto che verificare la corretta relazione che si potevi instaurare tra la ragione e il desiderio di Dio. Ne è derivato, che invece di porsi nel cono della luce divina, si è preferito optare per “piccole luci” (Lf 3) fugaci, effimere, che come lucciole nelle notti estive offrono un’emozione, ma non sono in grado di illuminare la strada.
L’autonomia della ragione non ha portato ad illuminare il futuro, ma ad avere una “paura dell’ignoto” (Lf 3) che esso nasconde. Insomma, l’uomo moderno appare spesso rinunciatario nei confronti della verità e incapace di osare per acquisirla. Un tema questo che il Papa riprende spesso nelle pagine di Lumen fidei per mostrare le conseguenze di una simile prospettiva culturale: l’idolatria, vera parabola dell’uomo moderno. Un uomo – continua il Papa - che intende mettere se stesso sempre più al centro di tutto. Un uomo che “adora l’opera delle sue mani” e così, perso il fondamento su cui costruire, “si disperde nella molteplicità dei suoi desideri, negandosi ad attendere il tempo della promessa” (Lf 13). L’idolatria, tuttavia, non permette di avere un cammino da seguire. Ciò di cui l’uomo contemporaneo si accontenta è, piuttosto, una pluralità di “sentieri” che non conducono a nessuna meta, sfociando purtroppo in un “labirinto” da cui è difficile trovare la via d’uscita. (Lf 13). A causa di questo, si deforma l’immagine di Dio. L’uomo moderno preferisce relegarlo nell’alto dei cieli, senza più comprendere l’importanza della sua reale presenza nella vita di ogni giorno (17).
Uno dei tratti peculiari della cultura contemporanea, infine, si riscontra nel rapporto tra fede e verità. Papa Francesco non indugia su analisi teoriche, ma preferisce optare per la visione concreta della verità nelle sue sfaccettature e nell’esperienza quotidiana. La nostra epoca è segnata dal riferimento alle singole verità delle persone, che tuttavia non sono al servizio del bene comune e conducono a guardare con sospetto quanti difendono l’esigenza di una verità oggettiva. Il relativismo che riduce tutto alla propria prospettiva conduce inevitabilmente –sostiene il Papa- a un “grande oblio” della questione religiosa e per conseguenza alla perdita del senso stesso dell’esistenza personale. In questo contesto culturale, tuttavia, è l’uomo che perde il riferimento alla sua origine e non trova più l’essenza per cui vivere: l’amore. “All’uomo moderno sembra, infatti, che la questione dell’amore non abbia a che fare con il vero. L’amore risulta oggi un’esperienza legata al mondo dei sentimenti incostanti e non più alla verità” (Lf 27).
L’autonomia della ragione non ha portato ad illuminare il futuro, ma ad avere una “paura dell’ignoto” (Lf 3) che esso nasconde. Insomma, l’uomo moderno appare spesso rinunciatario nei confronti della verità e incapace di osare per acquisirla. Un tema questo che il Papa riprende spesso nelle pagine di Lumen fidei per mostrare le conseguenze di una simile prospettiva culturale: l’idolatria, vera parabola dell’uomo moderno. Un uomo – continua il Papa - che intende mettere se stesso sempre più al centro di tutto. Un uomo che “adora l’opera delle sue mani” e così, perso il fondamento su cui costruire, “si disperde nella molteplicità dei suoi desideri, negandosi ad attendere il tempo della promessa” (Lf 13). L’idolatria, tuttavia, non permette di avere un cammino da seguire. Ciò di cui l’uomo contemporaneo si accontenta è, piuttosto, una pluralità di “sentieri” che non conducono a nessuna meta, sfociando purtroppo in un “labirinto” da cui è difficile trovare la via d’uscita. (Lf 13). A causa di questo, si deforma l’immagine di Dio. L’uomo moderno preferisce relegarlo nell’alto dei cieli, senza più comprendere l’importanza della sua reale presenza nella vita di ogni giorno (17).
Uno dei tratti peculiari della cultura contemporanea, infine, si riscontra nel rapporto tra fede e verità. Papa Francesco non indugia su analisi teoriche, ma preferisce optare per la visione concreta della verità nelle sue sfaccettature e nell’esperienza quotidiana. La nostra epoca è segnata dal riferimento alle singole verità delle persone, che tuttavia non sono al servizio del bene comune e conducono a guardare con sospetto quanti difendono l’esigenza di una verità oggettiva. Il relativismo che riduce tutto alla propria prospettiva conduce inevitabilmente –sostiene il Papa- a un “grande oblio” della questione religiosa e per conseguenza alla perdita del senso stesso dell’esistenza personale. In questo contesto culturale, tuttavia, è l’uomo che perde il riferimento alla sua origine e non trova più l’essenza per cui vivere: l’amore. “All’uomo moderno sembra, infatti, che la questione dell’amore non abbia a che fare con il vero. L’amore risulta oggi un’esperienza legata al mondo dei sentimenti incostanti e non più alla verità” (Lf 27).
LA FEDE VIENE DALL’AMORE
I primi due capitoli di Lumen fidei descrivono il rapporto fede e amore nelle diverse accentuazioni che ne scaturiscono. Queste pagine mostrano l’originalità propria dell’enciclica e costituiscono la parte fondativa e più importante del documento. Non poteva essere altrimenti. Il cuore della fede è l’amore trinitario di Dio che si rivela in Gesù Cristo, colui che è all’origine della fede e la porta a compimento (cfr Eb 12,2). Di fatto, la struttura di queste pagine e i suoi contenuti sono raccolti intorno all’amore che genera la fede e alla fede che sostiene l’amore. Come c’è la “luce della fede”, così siamo posti dinanzi alla “luce dell’amore” (Lf 34). Per entrare nella conoscenza coerente dei contenuti della fede, quindi, è necessario armarsi –per dirla con Pascal- delle “ragioni del cuore”. Queste permettono di accedere alla complessa tematica teologica della conoscenza per fede che in queste pagine viene riletta alla luce della conoscenza per amore. E’ l’amore il fondamento che consente ai credenti di costruire la loro vita sulla roccia e non sull’instabilità della sabbia. Crede chi è amato!
E l’amore apre a una conoscenza di una verità prima insperata e inattesa. Il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio offre un orizzonte di senso completo a questa prospettiva, perché la condivisione che Gesù Cristo realizza della nostra natura umana, permette che l’amore di Dio si riveli in tutta la sua novità e originalità. E’ profondamento vero quanto scrive in proposito il Papa: “Soltanto così, attraverso l’Incarnazione, attraverso la condivisione della nostra umanità, poteva giungere a pienezza la conoscenza propria dell’amore” (Lf 31). Parafrasando, si potrebbe dire con il beato J.H. Newman: cor ad cor loquitur, il cuore parla al cuore per diventare un cuore solo.
“Toccare il cuore, questo è credere”, afferma il Santo Padre citando s. Agostino. Non si poteva trovare espressione più plastica di questa per descrivere la genesi della fede. E’ la grazia che trasforma il cuore l’inizio della fede: gratia facit fidem. Ciò significa che il primo movimento proviene sempre da Dio che chiama a sé, e si lascia vedere e toccare. La grazia, in questo movimento, permette di poter riconoscere la presenza di Dio. Ecco perché “tocca” il cuore; perché lo spalanca per una conoscenza più profonda. In una parola, il cuore toccato dallo Spirito permette di riconoscere Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio e il Signore. Questa stessa esperienza, come si sa, ha il suo fondamento negli Atti degli Apostoli dove si descrive il venire alla fede di Lidia. Papa Benedetto aveva commentato questa scena biblica in Porta fidei: “San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio” (Pf 10). Come si può osservare, siamo dinanzi a uno sviluppo che evidenzia i tratti fondamentali della fede, espressi attraverso le immagini che toccano cuore e mente per un’intelligenza più profonda del mistero che viviamo.
Rileggere la fede in rapporto all’amore, inoltre, permette al Papa di evidenziare la natura stessa della verità a cui chi crede si abbandona. La verità illuminata dall’amore rende sicuro il cammino. Senza questa verità la critica di credere a una “bella fiaba” o di cedere alla “proiezione dei nostri desideri” (Lf 24) sarebbe sempre all’erta. La fede generata dall’amore, invece, ricerca la verità e la desidera come espressione di una conoscenza più profonda e più genuina. Il riferimento a un autore come Guglielmo di Saint Thierry, permette al Papa di evidenziare l’unità di questa relazione e conduce ad assumere una nuova logica per la nostra conoscenza: “Questi due occhi sono la ragione credente e l’amore, che diventano un solo occhio per giungere a contemplare Dio” (Lf 27).
Delineata questa dimensione, segue la descrizione di alcuni frutti della fede. Essa rifiuta le forme del fanatismo (cfr Lf 25) e della violenza (Lf 34), perché le sono improprie e non le appartengono. Chi crede di questa fede che nasce dall’amore, al contrario, “non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è un arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti” (Lf 34). Uno stile di vita, quindi, che non lascia ombre, ma apre piuttosto alla responsabilità della testimonianza.
E l’amore apre a una conoscenza di una verità prima insperata e inattesa. Il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio offre un orizzonte di senso completo a questa prospettiva, perché la condivisione che Gesù Cristo realizza della nostra natura umana, permette che l’amore di Dio si riveli in tutta la sua novità e originalità. E’ profondamento vero quanto scrive in proposito il Papa: “Soltanto così, attraverso l’Incarnazione, attraverso la condivisione della nostra umanità, poteva giungere a pienezza la conoscenza propria dell’amore” (Lf 31). Parafrasando, si potrebbe dire con il beato J.H. Newman: cor ad cor loquitur, il cuore parla al cuore per diventare un cuore solo.
“Toccare il cuore, questo è credere”, afferma il Santo Padre citando s. Agostino. Non si poteva trovare espressione più plastica di questa per descrivere la genesi della fede. E’ la grazia che trasforma il cuore l’inizio della fede: gratia facit fidem. Ciò significa che il primo movimento proviene sempre da Dio che chiama a sé, e si lascia vedere e toccare. La grazia, in questo movimento, permette di poter riconoscere la presenza di Dio. Ecco perché “tocca” il cuore; perché lo spalanca per una conoscenza più profonda. In una parola, il cuore toccato dallo Spirito permette di riconoscere Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio e il Signore. Questa stessa esperienza, come si sa, ha il suo fondamento negli Atti degli Apostoli dove si descrive il venire alla fede di Lidia. Papa Benedetto aveva commentato questa scena biblica in Porta fidei: “San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio” (Pf 10). Come si può osservare, siamo dinanzi a uno sviluppo che evidenzia i tratti fondamentali della fede, espressi attraverso le immagini che toccano cuore e mente per un’intelligenza più profonda del mistero che viviamo.
Rileggere la fede in rapporto all’amore, inoltre, permette al Papa di evidenziare la natura stessa della verità a cui chi crede si abbandona. La verità illuminata dall’amore rende sicuro il cammino. Senza questa verità la critica di credere a una “bella fiaba” o di cedere alla “proiezione dei nostri desideri” (Lf 24) sarebbe sempre all’erta. La fede generata dall’amore, invece, ricerca la verità e la desidera come espressione di una conoscenza più profonda e più genuina. Il riferimento a un autore come Guglielmo di Saint Thierry, permette al Papa di evidenziare l’unità di questa relazione e conduce ad assumere una nuova logica per la nostra conoscenza: “Questi due occhi sono la ragione credente e l’amore, che diventano un solo occhio per giungere a contemplare Dio” (Lf 27).
Delineata questa dimensione, segue la descrizione di alcuni frutti della fede. Essa rifiuta le forme del fanatismo (cfr Lf 25) e della violenza (Lf 34), perché le sono improprie e non le appartengono. Chi crede di questa fede che nasce dall’amore, al contrario, “non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è un arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti” (Lf 34). Uno stile di vita, quindi, che non lascia ombre, ma apre piuttosto alla responsabilità della testimonianza.
LA MEMORIA VIVA
Una simile presentazione della fede, permette a Papa Francesco di recuperare il valore dei sensi (cfr Lf 37.40). La fede, infatti, richiede il vedere, l’ascoltare, il toccare… insomma, tutta la persona è coinvolta in questa avventura. Nulla è lasciato al caso. Più volte il Papa ritorna su questo tema e non poteva essere altrimenti. Una lunga tradizione della teologia e della spiritualità ha fatto propria questa dimensione. Conoscere, vedere, ascoltare, toccare, mangiare, bere… sono tutti momenti che descrivono la complementarità della fede. Essa trova il suo punto cruciale e il suo apice nel mistero dell’Eucaristia dove i sensi sono riportati ad andare oltre se stessi. Certo, vale anche il contrario. Si può ascoltare, vedere, toccare e non credere. E’ questo il rimprovero di Gesù ai suoi contemporanei dopo la moltiplicazione dei pani: “Voi mi avete veduto, e non credete” (Gv 6,36).
Ancora una volta, però, il legame della fede con l’amore consente di superare l’ostacolo. La fede di chi ama trasforma la vita e rende sicuri i suoi passi con la certezza tipica dell’amore. Per questo è necessario che il cuore sia toccato dalla grazia, perché la sua trasformazione permette una conoscenza differente e più profonda che consente di vedere con gli occhi della fede.
Il terzo capitolo è dedicato alla trasmissione della fede. Queste pagine sono importanti perché rispondono a una problematica molto sentita ai nostri giorni. Lumen fidei descrive un “percorso” di fede per far sperimentare come tante persone prima di noi hanno creduto. Credere, inserisce in quella lunga lista di uomini e donne che nel corso dei secoli hanno affidato la loro vita a Dio senza esitazione. Da Abramo, passando per il popolo eletto con Mosè, per giungere fino a Maria, la Madre di Dio, Papa Francesco ci fa immergere in una storia di fede profonda e feconda. Egli mostra la fede come la capacità di generare sia una nuova conoscenza, frutto dell’amore, sia uno stile di vita più genuino e carico di senso perché spinto verso la sua pienezza. Il passato e il futuro trovano sintesi nella fede, perché essa immette in una visione nuova di sé, degli altri e del mondo.
Che si vive oggi una crisi di fede non ha bisogno di grandi dimostrazioni. Come in altri momenti della storia della Chiesa, anche i nostri anni evidenziano una crisi che scaturisce da differenti cause. Non è questo il luogo per l’analisi, ma certamente non si può sottacere un forte analfabetismo in materia di fede che stride con la crescita e lo studio di molti cristiani esperti nei differenti ambiti professionali e nei meandri del sapere scientifico e tecnologico. La fede sembra non avere più importanza nella vita delle persone e spesso anche per molti credenti, credere non incide nelle scelte di vita. La fede sembra essere diventata un presupposto ovvio, scontato, e in questo modo termina per essere ininfluente. Forse, ci si ricorda di essere cristiani in alcuni momenti della vita quando le scadenze impongono di provvedere ad alcune scelte. Eppure, anche questa dimensione diventa sempre più rarefatta e le esigenze economiche e finanziarie hanno spesso la meglio sulla stessa scelta religiosa.
Per questi motivi, un tema che si dovrà certamente affrontare nella formazione cristiana sarà quello della trasmissione della fede. Papa Francesco ne descrive un percorso importante, facendo riferimento sia al luogo privilegiato, la famiglia, in cui la fede viene trasmessa (cfr Lf 52-53), sia alla formazione catechetica che la Chiesa ha sempre conosciuto e che oggi trova la sua sintesi nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Confessare la fede e avere una sua conoscenza adeguata è preludio che si apre poi alla vita dei sacramenti. Ogni cristiano, infatti, dovrebbe scoprire di essere una “creatura nuova”, rinata nel battesimo alla vita di figlio di Dio.E’ l’identità battesimale che permette di giungere al culmine nella celebrazione dell’Eucaristia (cfr Lf 40-44). Per la Chiesa che in questi decenni si è aperta all’urgenza della nuova evangelizzazione, questa positiva provocazione è fondamentale. Papa Francesco propone la via del catecumenato come riscoperta della fede e come percorso di esperienza efficace e feconda per la sua trasmissione (cfr Lf 45). A partire da questi due momenti si apre la strada per comprendere sia il valore del Decalogo riletto alla luce delle beatitudini, sia l’importanza decisiva della preghiera personale nella vita del credente (cfr Lf 46).
In questo contesto, è bene accennare al tema dell’ecclesialità della fede. Credere pur essendo una scelta personale che trova riscontro nella decisione di accettare il proprio battesimo, equivale comunque a far parte della Chiesa. Ecco perché “chi crede non è mai solo”, perché è “impossibile credere da soli” (Lf 39). Quanti vengono alla fede diventano per ciò stesso fecondi. Come la Chiesa che è madre genera (Lf 5), così ogni credente rende partecipe gli altri della sua gioia e si apre a “nuove relazioni che arricchiscono la vita” (Lf 39). L’atto personale si innesta in un atto comunitario che è garanzia della certezza della fede di sempre. Papa Francesco fa giustamente riferimento al Credo come il segno di un’appartenenza che non è più solo individuale, ma ecclesiale. Nella professione di fede, infatti, la Chiesa nel corso dei secoli ha voluto esprimere questa duplice dimensione.
Nel Credo battesimale – lo stesso che viene usato per la celebrazione della Cresima come conferma del battesimo - ogni credente è chiamato ad assumere in prima persona la responsabilità della propria scelta, e lo fa rispondendo alle domande del sacerdote, e del vescovo, in prima persona: “Io credo”. Nel Credo che intende esprimere la fede di tutta la Chiesa come segno della sua unità, ogni credente si esprime dicendo: “Noi crediamo”. La Chiesa, quindi, proponendo la fede e permettendo ad ognuno di poterla vivere con il sostegno della comunità e la forza della vita sacramentale, è il luogo privilegiato a cui ritornare sempre per comprendere il proprio essere credenti. Con lei e attraverso di lei il cristiano è iniziato ad avere una visione della vita e del mondo più ampia e globale perché, per usare le parole di R. Guardini citato nell’enciclica, è la “portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo” (22).
Qui, comunque, giunge l’ulteriore novità a cui introduce l’insegnamento di papa Francesco: chi crede e fa suo il Credo della Chiesa cambia vita: “Nel Credo il credente viene invitato a entrare nel mistero che professa e a lasciarsi trasformare da ciò che professa… si vede coinvolto nella verità che confessa” (Lf 45). In una parola, la professione di fede, che inizia con il “Credo” come un atto di fiducia in Dio, termina con un “Amen” come espressione di decisione a vivere di quel contenuto per farlo diventare stile di vita nuova.
Ancora una volta, però, il legame della fede con l’amore consente di superare l’ostacolo. La fede di chi ama trasforma la vita e rende sicuri i suoi passi con la certezza tipica dell’amore. Per questo è necessario che il cuore sia toccato dalla grazia, perché la sua trasformazione permette una conoscenza differente e più profonda che consente di vedere con gli occhi della fede.
Il terzo capitolo è dedicato alla trasmissione della fede. Queste pagine sono importanti perché rispondono a una problematica molto sentita ai nostri giorni. Lumen fidei descrive un “percorso” di fede per far sperimentare come tante persone prima di noi hanno creduto. Credere, inserisce in quella lunga lista di uomini e donne che nel corso dei secoli hanno affidato la loro vita a Dio senza esitazione. Da Abramo, passando per il popolo eletto con Mosè, per giungere fino a Maria, la Madre di Dio, Papa Francesco ci fa immergere in una storia di fede profonda e feconda. Egli mostra la fede come la capacità di generare sia una nuova conoscenza, frutto dell’amore, sia uno stile di vita più genuino e carico di senso perché spinto verso la sua pienezza. Il passato e il futuro trovano sintesi nella fede, perché essa immette in una visione nuova di sé, degli altri e del mondo.
Che si vive oggi una crisi di fede non ha bisogno di grandi dimostrazioni. Come in altri momenti della storia della Chiesa, anche i nostri anni evidenziano una crisi che scaturisce da differenti cause. Non è questo il luogo per l’analisi, ma certamente non si può sottacere un forte analfabetismo in materia di fede che stride con la crescita e lo studio di molti cristiani esperti nei differenti ambiti professionali e nei meandri del sapere scientifico e tecnologico. La fede sembra non avere più importanza nella vita delle persone e spesso anche per molti credenti, credere non incide nelle scelte di vita. La fede sembra essere diventata un presupposto ovvio, scontato, e in questo modo termina per essere ininfluente. Forse, ci si ricorda di essere cristiani in alcuni momenti della vita quando le scadenze impongono di provvedere ad alcune scelte. Eppure, anche questa dimensione diventa sempre più rarefatta e le esigenze economiche e finanziarie hanno spesso la meglio sulla stessa scelta religiosa.
Per questi motivi, un tema che si dovrà certamente affrontare nella formazione cristiana sarà quello della trasmissione della fede. Papa Francesco ne descrive un percorso importante, facendo riferimento sia al luogo privilegiato, la famiglia, in cui la fede viene trasmessa (cfr Lf 52-53), sia alla formazione catechetica che la Chiesa ha sempre conosciuto e che oggi trova la sua sintesi nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Confessare la fede e avere una sua conoscenza adeguata è preludio che si apre poi alla vita dei sacramenti. Ogni cristiano, infatti, dovrebbe scoprire di essere una “creatura nuova”, rinata nel battesimo alla vita di figlio di Dio.E’ l’identità battesimale che permette di giungere al culmine nella celebrazione dell’Eucaristia (cfr Lf 40-44). Per la Chiesa che in questi decenni si è aperta all’urgenza della nuova evangelizzazione, questa positiva provocazione è fondamentale. Papa Francesco propone la via del catecumenato come riscoperta della fede e come percorso di esperienza efficace e feconda per la sua trasmissione (cfr Lf 45). A partire da questi due momenti si apre la strada per comprendere sia il valore del Decalogo riletto alla luce delle beatitudini, sia l’importanza decisiva della preghiera personale nella vita del credente (cfr Lf 46).
In questo contesto, è bene accennare al tema dell’ecclesialità della fede. Credere pur essendo una scelta personale che trova riscontro nella decisione di accettare il proprio battesimo, equivale comunque a far parte della Chiesa. Ecco perché “chi crede non è mai solo”, perché è “impossibile credere da soli” (Lf 39). Quanti vengono alla fede diventano per ciò stesso fecondi. Come la Chiesa che è madre genera (Lf 5), così ogni credente rende partecipe gli altri della sua gioia e si apre a “nuove relazioni che arricchiscono la vita” (Lf 39). L’atto personale si innesta in un atto comunitario che è garanzia della certezza della fede di sempre. Papa Francesco fa giustamente riferimento al Credo come il segno di un’appartenenza che non è più solo individuale, ma ecclesiale. Nella professione di fede, infatti, la Chiesa nel corso dei secoli ha voluto esprimere questa duplice dimensione.
Nel Credo battesimale – lo stesso che viene usato per la celebrazione della Cresima come conferma del battesimo - ogni credente è chiamato ad assumere in prima persona la responsabilità della propria scelta, e lo fa rispondendo alle domande del sacerdote, e del vescovo, in prima persona: “Io credo”. Nel Credo che intende esprimere la fede di tutta la Chiesa come segno della sua unità, ogni credente si esprime dicendo: “Noi crediamo”. La Chiesa, quindi, proponendo la fede e permettendo ad ognuno di poterla vivere con il sostegno della comunità e la forza della vita sacramentale, è il luogo privilegiato a cui ritornare sempre per comprendere il proprio essere credenti. Con lei e attraverso di lei il cristiano è iniziato ad avere una visione della vita e del mondo più ampia e globale perché, per usare le parole di R. Guardini citato nell’enciclica, è la “portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo” (22).
Qui, comunque, giunge l’ulteriore novità a cui introduce l’insegnamento di papa Francesco: chi crede e fa suo il Credo della Chiesa cambia vita: “Nel Credo il credente viene invitato a entrare nel mistero che professa e a lasciarsi trasformare da ciò che professa… si vede coinvolto nella verità che confessa” (Lf 45). In una parola, la professione di fede, che inizia con il “Credo” come un atto di fiducia in Dio, termina con un “Amen” come espressione di decisione a vivere di quel contenuto per farlo diventare stile di vita nuova.
UNA CITTÀ AFFIDABILE, L'IMPEGNO DEL CRISTIANO NEL MONDO
Lo sguardo finale di papa Francesco, nel quarto capitolo di Lumen fidei, verte su un tema a lui particolarmente caro e verso il quale in questi primi mesi di pontificato ha rivolto spesso l’attenzione della Chiesa: l’impegno del cristiano nel mondo. “La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia” (Lf 55). In questa parte, il verbo da lui preferito diventa quello di “edificare” e “costruire”, per rendere evidente la credibilità della fede. La fede, insiste il Papa, non allontana i cristiani dal loro impegno di costruire una “città affidabile” (Lf 50); anzi, essi ne hanno la piena responsabilità, perché credere permette di “comprendere l’architettura dei rapporti umani” (Lf 51) e, pertanto, chiede di mettersi a servizio “della giustizia, del diritto e della pace” (Lf 51). Perché questo si realizzi, sostiene Papa Francesco, è necessario recuperare il fondamento della fratellanza. Esso non può essere relegato solo a un binomio con la libertà e l’uguaglianza, ma richiede la riscoperta della paternità di Dio che è andata purtroppo perduta nell’epoca moderna (cfr. Lf 54). La fratellanza, quindi, dipende dalla figliolanza che è stata realizzata dall’incarnazione del Figlio di Dio. La fede in lui permette di accedere al Padre e di riconoscere gli altri uomini come fratelli con cui condividere la responsabilità del creato (cfr Lf 55).
Conclusione
Nella Chiesa tutto poggia sulla fede. La sua vocazione è quella si avere una memoria sempre viva del grande dono ricevuto dal suo Signore. Dono che la fa esistere e che le chiede di essere fedele nel corso dei secoli per trasmettere di generazione in generazione, fino alla fine dei tempi, la conoscenza e la testimonianza viva della presenza di Dio. Lumen fidei è un’enciclica con una forte connotazione pastorale. Queste pagine saranno molto utili nell’impegno che toccherà le nostre comunità per dare continuità all’impegno intrapreso con l’Anno della fede. Papa Francesco, con la sua sensibilità di pastore, riesce a tradurre molte questioni di carattere prettamente teologico in tematiche che possono aiutare la riflessione e la catechesi. Si pensi, solo per esemplificare, al tema della triade “credere a”, “credere che”, “credere in” (cfr Lf 18); oppure alla problematica sulla giustificazione con i suoi risvolti ecumenici (cfr Lf 19); o al rapporto fede-ragione (cfr Lf 32-34). In ognuna di queste problematiche, la parola del Papa giunge chiara e sintetica. La conclusione a cui porta, però, è sintomatica: “Quando l’uomo pensa che allontanandosi da Dio troverà se stesso, la sua esistenza fallisce” (Lf 19).
E’ bene ribadire che l’enciclica non ha una visione irenica e utopica del mondo, della Chiesa e dei cristiani. La sua lettura porta a un profondo realismo. Non si nascondono le difficoltà presenti nella società e le tensioni che in essa pulsano, creando spesso conflitti e impedendo di lavorare per il bene comune. I paragrafi che fanno riferimento alla sofferenza e al dolore sono testimonianza di questo realismo e della forza che la fede può apportare a tante condizioni di debolezza che le persone sperimentano. “Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare un atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e in questo modo essere una tappa di crescita della fede e dell’amore… La luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo” (Lf 56-57). Nonostante la sofferenza, comunque, l’insegnamento sulla fede che scaturisce dall’amore impone di tenere fisso lo sguardo sulla speranza. E’ per questo che bisogna cogliere l’invito dell’enciclica di guardare al futuro con la certezza della promessa di Dio che dona sempre “nuovo slancio e nuova forza al vivere quotidiano” (Lf 57).
Un’enciclica sulla fede che parla di amore e che si conclude con il grido di Papa Francesco che merita di essere accolto: “Non facciamoci rubare la speranza” (Lf 57).
Conclusione
Nella Chiesa tutto poggia sulla fede. La sua vocazione è quella si avere una memoria sempre viva del grande dono ricevuto dal suo Signore. Dono che la fa esistere e che le chiede di essere fedele nel corso dei secoli per trasmettere di generazione in generazione, fino alla fine dei tempi, la conoscenza e la testimonianza viva della presenza di Dio. Lumen fidei è un’enciclica con una forte connotazione pastorale. Queste pagine saranno molto utili nell’impegno che toccherà le nostre comunità per dare continuità all’impegno intrapreso con l’Anno della fede. Papa Francesco, con la sua sensibilità di pastore, riesce a tradurre molte questioni di carattere prettamente teologico in tematiche che possono aiutare la riflessione e la catechesi. Si pensi, solo per esemplificare, al tema della triade “credere a”, “credere che”, “credere in” (cfr Lf 18); oppure alla problematica sulla giustificazione con i suoi risvolti ecumenici (cfr Lf 19); o al rapporto fede-ragione (cfr Lf 32-34). In ognuna di queste problematiche, la parola del Papa giunge chiara e sintetica. La conclusione a cui porta, però, è sintomatica: “Quando l’uomo pensa che allontanandosi da Dio troverà se stesso, la sua esistenza fallisce” (Lf 19).
E’ bene ribadire che l’enciclica non ha una visione irenica e utopica del mondo, della Chiesa e dei cristiani. La sua lettura porta a un profondo realismo. Non si nascondono le difficoltà presenti nella società e le tensioni che in essa pulsano, creando spesso conflitti e impedendo di lavorare per il bene comune. I paragrafi che fanno riferimento alla sofferenza e al dolore sono testimonianza di questo realismo e della forza che la fede può apportare a tante condizioni di debolezza che le persone sperimentano. “Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare un atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e in questo modo essere una tappa di crescita della fede e dell’amore… La luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo” (Lf 56-57). Nonostante la sofferenza, comunque, l’insegnamento sulla fede che scaturisce dall’amore impone di tenere fisso lo sguardo sulla speranza. E’ per questo che bisogna cogliere l’invito dell’enciclica di guardare al futuro con la certezza della promessa di Dio che dona sempre “nuovo slancio e nuova forza al vivere quotidiano” (Lf 57).
Un’enciclica sulla fede che parla di amore e che si conclude con il grido di Papa Francesco che merita di essere accolto: “Non facciamoci rubare la speranza” (Lf 57).
(Mons. Fisichella- Famiglia Cristiana)
Nessun commento:
Posta un commento