lunedì 17 giugno 2013

Vergogna: 1800 immigrati vengono mantenuti a Mineo nel lusso più sfrenato, uno scandalo.



MINEO – I figli riposano beati in carrozzine nuove di zecca. “I passeggini nuovi arrivano sabato”, dice una delle animatrici del centro a un ragazzo ghanese che ne ha già rotti due. I più grandicelli la mattina vengono accompagnati a scuola in paese con il pullman, riportati nel pomeriggio, aiutati a fare i compiti, e alle sei tutti alla ludoteca a ballare e giocare con tanto di animatori. Le mamme passano la giornata a far passeggiare i loro bambini nei viali alberati, poi vanno a lezione di italiano: imparano a leggere, a scrivere, a farsi capire nelle aule attrezzate di tutto punto con lavagne, cartelloni, libri, quaderni.

Anche gli uomini hanno capito che quei corsi di italiano potrebbero essere il loro futuro: basta vedere Solomon, Ismail, arrivati anche loro a Lampedusa da disperati qualche anno fa e ora assunti, con tanto di contratto a più di mille euro al mese, vitto e alloggio gratis, come mediatori culturali. Oggi si inaugura il punto Internet, una decina di computer a disposizione per comunicare via web con parenti e amici rimasti laggiù. E poi c’è lo spaccio dove con la carta, nella quale ogni giorno vengono caricati 3,50 euro, possono comprare sigarette, schede telefoniche, creme. E quando proprio non hanno niente da fare, ci sono i campi di calcio e di baseball nei quali le quattro squadre “interetniche” formatesi nel campo si affrontano ogni giorno. Tre pasti caldi sfornati da cucine da grande albergo, cibo dedicato per i più piccoli, case grandi con aria condizionata e tutti i comfort, attenzione e assistenza per i loro desideri. C’è da giurarci che gli ospiti del Cara di Mineo, il centro di assistenza per i richiedenti asilo aperto in fretta e furia la scorsa primavera quando Lampedusa era presa d’assalto da centinaia di clandestini ogni giorno, non hanno alcuna voglia di andarsene da lì. Lo dicono i giovani uomini e le giovani donne che passeggiano tranquilli per i viali del Villaggio degli aranci, già sede delle famiglie dei militari americani di stanza a Sigonella, pakistani e nigeriani, somali ed eritrei, egiziani e ghanesi, tutti “fratelli” che vivono in pace, “governati” dai loro rappresentanti che vengono costantemente convocati dal direttore del centro, Ianni Maccarrone, per gestire insieme la coabitazione con le regole fissate dal consorzio Sisifo, che da qualche mese è subentrato alla Croce rossa.

Ma lo dicono soprattutto i numeri: dei circa 1.800 immigrati ospiti del centro, poco meno della metà hanno già ottenuto il permesso di soggiorno, ma da Mineo non se ne vanno. Fuori non sanno dove andare, non hanno un tetto né soprattutto un lavoro.

Quindi, eccetto quelli che hanno familiari da raggiungere altrove, gli altri restano qui “a riflettere”. Come Mohammed, quarantenne del Togo. È lui a inaugurare il nuovo punto Internet. Nel suo paese era il rappresentante di un partito politico e lavorava in un municipio, per questo è dovuto fuggire. “Sono arrivato ad Agrigento undici mesi fa – racconta – ho chiesto asilo politico e la commissione ha accolto la mia domanda. Adesso sono qui a riflettere sul mio futuro. Voglio restare qua perché l’Italia mi ha salvato la vita, ma non so dove andare, e visto che posso restare qui fino a dicembre…”.

Dicembre 2012 è la data alla quale il ministero dell’Interno ha prorogato la convenzione che tiene aperto il Cara di Mineo, in un primo momento “requisito” all’impresa Pizzarotti, che è proprietaria del Villaggio degli Aranci, fino al 31 dicembre 2011. Finita l’emergenza Lampedusa, la politica del ministero dell’Interno è stata quella di chiudere gli altri microcentri aperti in giro per il Sud e di convogliare a Mineo tutti i richiedenti asilo.

In questo vero e proprio hotel a cinque stelle, nonostante le lamentele di alcune associazioni che denunciano i tempi lunghi nella concessione dei permessi di soggiorno, i richiedenti asilo vivono una vita che non si erano mai neanche immaginati: qui sono nati più di venti bambini, qui ci si innamora, come è successo a Mohammed, libico, e Moussada, studentessa tunisina di Legge, che festeggiano la casetta appena ottenuta solo per loro due. “È un modello di ospitalità che dovremmo esportare in tutta Europa”, dice orgoglioso Giuseppe Castiglione, presidente della Provincia di Catania, dichiarato soggetto attuatore dal Consiglio dei ministri.

Un modello di ospitalità che allo Stato italiano costa più di quindici milioni di euro all’anno, come da bilancio 2011. Fondi della Protezione civile che servono a pagare anzitutto il canone di affitto alla Pizzarotti (circa sei milioni di euro l’anno) e il consorzio siciliano di cooperative sociali Sisifo al quale l’ente attuatore ha affidato la gestione: 25 euro al giorno per ogni ospite e 30 mila euro per oneri di sicurezza. A conti fatti, stando alla media di ospiti di questo mese, il fatturato annuo toccherà i 15 milioni di euro.

Tutto questo rappresenta un vero e proprio oltraggio agli italiani. Una vergogna senza confini in un momento in cui centinaia di migliaia di italiani stanno diventando poveri a causa della perdita del lavoro e della casa. Questi immigrati vanno semplicemente espulsi e non mantenuti a spese degli italiani.


Fonte: Internet

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