Un assessore indagato. Un’altra che si è dimessa per i guai giudiziari del marito. Il capogruppo in Consiglio regionale accusato dalla procura di Perugia di aver falsificato alcune firme. Il capo di gabinetto imputato per bancarotta fraudolenta. L’assessore all’Ambiente intercettato nel 2011 mentre «soccombe», scrivono gli investigatori, alle pretese del ras dell’immondizia Manlio Cerroni.
La nomina a direttori regionali di dirigenti su cui pendono inchieste della magistratura e di altri condannati dalla Corte dei Conti. Per non parlare dei ricchi contratti esterni a fedelissimi e maggiorenti del Partito democratico…
Ecco: non si può dire che Nicola Zingaretti, da tre mesi governatore della Regione Lazio, sia partito con il piede giusto. «Nei primi cento giorni i nuovi arrivati sono riusciti a fare peggio di Renata Polverini e del suo cerchio magico», azzarda Roberta Bernardeschi, segretario regionale della Federazione nazionale dei dirigenti delle Regioni, una che ha combattuto «senza se e senza ma» la giunta Polverini durante la precedente consiliatura.
«Tra inquisiti e impresentabili sembra di essere nella Lombardia di Formigoni. Non ce l’aspettavamo, è stata una delusione. Dicono che hanno tagliato otto dirigenti risparmiando un milione di euro? Vero, ma la segreteria del governatore rischia di passare da 12 a 24 persone. Se così fosse, i risparmi pubblicizzati sarebbero azzerati».
Possibile che Zingaretti e i suoi uomini abbiano predicato bene e che ora razzolino male? Il democrat aveva ripetuto, durante la campagna elettorale contro Francesco Storace, che se avesse vinto, le vecchie pratiche di malgoverno sarebbero state finalmente archiviate. «Noi vogliamo la buona politica, evitando la cosa peggiore: l’incoerenza. Ai proclami devono seguire atti amministrativi, da subito!», ha detto e ridetto l’ex presidente della Provincia di Roma.
“Onestà, pulizia, trasparenza” le parole d’ordine obbligatorie per lasciarsi alle spalle la disastrosa stagione targata Polverini, caratterizzata dagli scandali sui rimborsi ai gruppi (protagonisti Franco “Batman” Fiorito del Pdl e Vincenzo Maruccio dell’Idv, senza dimenticare le spese pazze dei partiti, Pd compreso), dai voli a sbafo sugli elicotteri, da “parentopoli” e assunzioni clientelari.
Zingaretti ha subito rimesso al centro la questione morale, conscio che il rilancio dell’etica pubblica fosse necessario sia per vincere le elezioni sia per riavvicinare la politica ai cittadini. A tre mesi dal trionfo elettorale, però, la rivoluzione copernicana promessa non sembra essere ancora iniziata. I campanelli d’allarme sono cominciati subito.
A inizio aprile, l’assessore alle Politiche sociali Paola Varvazzo si è dimessa perché il marito è stato indagato per concussione. Il neo presidente ha subito ringraziato per il gesto definendolo «un atto di responsabilità» a tutela della giunta, ma dopo un mese ha graziato Sonia Ricci , l’assessore all’Agricoltura rinviata a giudizio a causa di un’incendio di rifiuti (anche plastici) scoppiato in un’azienda agricola dove lei era – in quel momento – l’unica presente.
«Non si tratta di nessun tipo di reato neanche lontanamente ipotizzabile contro la pubblica amministrazione», ha spiegato Zingaretti confermandola sulla poltrona.
Il processo cercherà di stabilire se il peccato sia davvero solo veniale, epperò il reato per cui è finito alla sbarra nel novembre 2009 il neo capo di gabinetto Maurizio Venafro è più grave: il braccio destro di Zingaretti (capo di gabinetto dell’amico Nicola anche alla Provincia) è infatti accusato di concorso in bancarotta fraudolenta.
Il processo cercherà di stabilire se il peccato sia davvero solo veniale, epperò il reato per cui è finito alla sbarra nel novembre 2009 il neo capo di gabinetto Maurizio Venafro è più grave: il braccio destro di Zingaretti (capo di gabinetto dell’amico Nicola anche alla Provincia) è infatti accusato di concorso in bancarotta fraudolenta.
L’inchiesta è incentrata sul fallimento della cooperativa Planet Work, al tempo socio privato della società pubblica All Clean creata dalla municipalizzata Ama (con il compito di cancellare le scritte dei writers sparse per la città) e di cui Venafro è stato presidente. Secondo il pm Giorgio Orano i dirigenti della cooperativa (tra cui il fratello di Sabrina Ferilli) avrebbero distratto risorse dalla Planet Work girandole ad altre srl e Venafro avrebbe coperto le attività illecite.
Zingaretti fa spallucce: pur se indagato, al suo capo di gabinetto non sembra voler rinunciare (anche se gli ha tagliato lo stipendio a 170 mila euro, 10 per cento in meno rispetto alla precedente amministrazione).
Il presidente non pare preoccupato nemmeno per la vicenda che rischia di inguaiare Michele Baldi. Non un consigliere regionale qualsiasi, ma il capogruppo della Lista Zingaretti. Baldi, come ha anticipato Clemente Pistilli su “La Notizia”, è accusato dalla procura di Perugia di aver falsificato le firme degli elenchi del Movimento per Roma e per il Lazio con cui si candidò governatore per le regionali del 2010.
“L’Espresso” ha letto l’avviso di conclusione delle indagini dove si spiega che Baldi avrebbe «inserito nominativi di persone che non avevano aderito falsificandone la sottoscrizione e i dati relativi al documento di identità». Sfortuna ha voluto che tra le firme ci fosse quella di un magistrato del tribunale di Latina, che si è accorto dell’inghippo e ha denunciato tutto ai colleghi competenti.
La candidatura dell’imprenditore decisa lo scorso gennaio aveva già fatto storcere il naso a molti puristi, che consideravano l’operazione ai limiti del trasformismo: già consigliere comunale a Roma tra le file di Alleanza nazionale, Baldi – per nove anni anche nel cda della As Roma calcio – nel 2005 passò a Forza Italia di cui divenne capogruppo in Campidoglio.
Deluso dalla mancata candidatura a sindaco nel 2008, il politico ha però abbandonato anche il partito di Berlusconi, fondando prima la formazione Forza Roma-Avanti Lazio, poi il movimento regionale per cui oggi è sotto accusa. Nel 2013 il salto finale, grazie all’accordo con Zingaretti e alla nomina a capogruppo della lista del governatore. Che forse – da romanista doc – ha apprezzato il curriculum pubblicato sul sito Internet di Baldi: «È stato», si legge, «il grande protagonista delle battaglie contro Sky, fondamentali per riequilibrare le disparità create tra la Roma e le altre squadre del campionato».
Un’altra scelta che fa discutere è quella di Luca Fegatelli , fino al 2010 a capo della direzione regionale Energia e rifiuti, poi capo del dipartimento del Territorio, diventato oggi numero uno dell’Abecol, l’agenzia per i beni confiscati alle organizzazioni criminali nel Lazio.
Un paradosso per chi – come ha scritto “l’Espresso” lo scorso ottobre – è stato indagato dalla procura di Velletri per associazione a delinquere e concorso in truffa ai danni dello Stato in merito a un’inchiesta sull’impero dell’immondizia guidato da Manlio Cerroni, il proprietario della discarica di Malagrotta e di un grande impianto di trattamento dei rifiuti ad Albano Laziale.
Secondo l’accusa, Fegatelli (di cui a febbraio il pm Giuseppe Travaglini chiese persino l’arresto, negatogli dal gip che, dichiarando la propria incompetenza territoriale, ha spedito il fascicolo alla procura di Roma), Cerroni e il dirigente regionale Romano Giovannetti , avrebbero armonizzato «le scelte politiche e amministrative della Regione Lazio alle esigenze di profitto delle aziende di Cerroni», operando per «evitare la chiusura dell’impianto» e rimuovendo «i funzionari non allineati», mentre «ostacolavano imprenditori concorrenti» e «agevolavano l’accoglimento delle tariffe proposte dal Cerroni».
Zingaretti – che presto dovrà affrontare l’emergenza rifiuti – non ha voluto commentare con “l’Espresso” i contenuti di quest’inchiesta. Il suo ufficio stampa ha invece risposto con una nota in cui sottolinea, tra l’altro, che «Fegatelli non risulta iscritto nel registro degli indagati. Inoltre», si legge ancora, «il dirigente passa dalla guida di un dipartimento di 2.400 persone a un’agenzia di cinque dipendenti e 120 mila euro di bilancio».
Sarà. Di certo dalla Regione evitano di ricordare che all’agenzia antimafia il neodirettore guadagnerà molto di più del suo predecessore: «Lo stipendio del capo dell’Abecol è passato da 108 a 155 mila euro l’anno, a cui va aggiunto il 30 per cento del risultato», accusa la Bernardeschi.
«Così si superano i 200 mila euro lordi l’anno, una retribuzione identica a quello dei direttori. Zingaretti ha aumentato la busta paga anche al capo dell’Agenzia regionale parchi: ora Vito Consoli (già direttore ai tempi di Piero Marrazzo, ndr.) prenderà uno stipendio lordo di oltre 40 mila euro, più alto di quello che prendeva il vecchio capo».
Mentre Fegatelli qualche giorno fa è stato piazzato anche nel cda dell’Astral, l’azienda che gestisce le strade del Lazio, scorrendo i nomi dei nuovi amministratori scelti dalla sinistra le sorprese continuano.
Mentre Fegatelli qualche giorno fa è stato piazzato anche nel cda dell’Astral, l’azienda che gestisce le strade del Lazio, scorrendo i nomi dei nuovi amministratori scelti dalla sinistra le sorprese continuano.
Nell’informativa che i carabinieri del Noe inoltrarono ai giudici di Velletri, infatti, spuntano alcune intercettazioni tra il solito Cerroni e l’attuale assessore ai Rifiuti Michele Civita (che però non risulta essere mai stato indagato). Telefonate del 2010 che “L’Espresso” ha letto (vedi riquadro nella pagina accanto) e che secondo i militari comprovano «l’influenza e la illimitata persuasione di cui è capace l’avvocato Cerroni».
Civita, al tempo assessore provinciale all’Ambiente, viene definito «il diretto referente di tutte le vicissitudini e problematiche prospettate da Cerroni», in quel momento assai preoccupato dal fatto che i carabinieri, durante un controllo, avevano scoperto che un importante impianto (quello di Roccacencia) lavorava con un’autorizzazione scaduta da dieci anni, «nonché privo dei requisiti tecnici previsti dalla normativa di settore».
Dalla Regione ricordano che la nuova amministrazione ha valorizzato dirigenti allontanati dalla Polverini come Elisabetta Longo , «che scoperchiò la malagestione dei lavoratori socialmente utili»; citano la «predisposizione del piano anticorruzione»; sottolineano il passaggio dalle 20 direzioni regionali alle attuali 12; evidenziano la «creazione di un’unica direzione per la sanità» e l’inizio della «internalizzazione dell’Agenzia di sanità pubblica», che Zingaretti ha promesso di chiudere per risparmiare 8 milioni l’anno.
Nessun cenno, invece, alla decisione di assumere l’ex consigliere del Pd Alessio D’Amato come «responsabile della cabina di regia» sulla Sanità (a 115 mila euro l’anno), né ai reali motivi che hanno indotto la giunta a riconfermare nei gangli dell’amministrazione vecchi boiardi che dominano la Regione da lustri, o il perché siano stati assunti nuovi dirigenti (a 155 mila euro l’anno, più il 30 per cento legato al risultato) attualmente imputati per il loro operato nella pubblica amministrazione.
Andiamo con ordine: Manuela Manenti, la dirigente che andrà a sostituire Fegatelli alla direzione Rifiuti (leggendo il curriculum sembra però che di immondizia sia poco esperta: è un architetto specializzato in pianificazione del territorio), è stata rinviata a giudizio per truffa e turbativa d’asta a causa di presunte irregolarità su un appalto pubblico – il servizio bus per disabili – organizzato dalla Provincia di Roma, ente di cui lei era dirigente. Raniero De Filippis , ai tempi della Polverini direttore per le Politiche sociali, è stato invece nominato capo delle Infrastrutture, nonostante la Corte dei conti abbia pochi mesi fa imposto al dirigente di risarcire la Regione per un danno erariale di 750 mila euro.
Secondo i giudici, De Filippis, per sette anni dirigente regionale e contemporaneamente commissario liquidatore della comunità montana Gronde dei Monti Ausoni, nel 2005 invece di chiudere bottega avrebbe assunto a tempo indeterminato ben 25 persone. «Secondo la procura», si legge nella sentenza di condanna del 29 marzo 2012, «il comportamento del De Filippis ha recato un danno con efficacia permanente (in soli cinque anni i giudici hanno calcolato che gli stipendi dei 25 assunti sono costati ben 4,9 milioni, ndr.), avendo con modalità clientelari – probabilmente legate ad altre responsabilità rimaste nell’ombra – proceduto all’assunzione di personale evidentemente non necessario per poi ricollocarlo in altro settore della Regione Lazio».
Il dirigente che – come ha scritto Giuseppe Oddo sul “Sole 24 Ore” – ha pure «patteggiato nel 2002 una condanna a 5 mesi di reclusione per non aver pubblicizzato un bando e aver fatto vincere il concorso al nipote e a parenti di amministratori», è stato anche indagato penalmente per abuso d’ufficio nella vicenda della comunità montana Gronde, inchiesta archiviata per prescrizione nel 2011.
Imputati. Accusati. Discussi. Come replica Zingaretti? «Ci siamo attenuti puntualmente al decreto anticorruzione, che prevede l’inconferibilità di incarichi dirigenziali a coloro che siano stati condannati per reati contro la pubblica amministrazione, anche solo in primo grado, nei cinque anni precedenti l’incarico», spiegano i suoi collaboratori. «Nessuno dei dirigenti regionali confermati dalla giunta ricade in questa previsione».
La spiegazione non convince Roberta Bernardeschi che invoca più meritocrazia nella valutazione interna dei dirigenti e ricorda che altri due nuovi direttori sono stati recentemente censurati dalla Corte dei conti per la cattiva gestione delle consulenze esterne. E forse non convincerà del tutto neppure chi ha votato Zingaretti. Che da lui e dal centrosinistra s’aspettava che fin da subito venissero spazzate via vecchie pratiche consociative e le cattive abitudini della gestione Polverini. Così non è stato. Almeno finora.
Fonte: Bastacasta
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