giovedì 5 aprile 2012
L'anima esiste e sopravvive alla morte cerebrale
L'anima esiste e sopravvive alla morte cerebrale
Due medici inglesi: l'anima esiste e sopravvive alla morte cerebrale Pazienti colpiti da arresto cardiaco hanno raccontato di luci, sensazioni di gioia e ingresso in un altro mondo.
Una mente indipendente dal cervello e una coscienza, o anima, che vive dopo la morte cerebrale. In pratica, l'esistenza dell'anima provata scientificamente, visto che ad avanzare l'affascinante ipotesi sono due medici, Peter Fenwick, neuropsichiatra londinese, e Sam Parnia, ricercatore clinico all'ospedale di Southampton e che la ricerca sarà pubblicata dalla rivista medica Resuscitation. Per un anno i due hanno studiato 63 casi di pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco. Di questi, 56 non avevano memoria del tempo in cui erano rimasti privi di conoscenza. Ma quattro dei sette che hanno dichiarato di ricordare qualcosa hanno superato la scala Grayson, che valuta le esperienze di «quasi morte». I quattro hanno parlato di sensazioni di pace e gioia, tempo accelerato, perdita di percezione del corpo, di una luce brillante e dell'ingresso in un altro mondo. Esperienze che per gli scienziati non potrebbero spiegarsi con un collasso delle funzioni cerebrali causato da mancanza di ossigeno o con combinazioni di medicinali (che in casi del genere sono uguali per tutti). “Queste persone erano in una condizione in cui il cervello non avrebbe dovuto essere in grado di sostenere processi lucidi o consentire di avere ricordi duraturi”, ha dichiarato Parnia al Sunday Telegraph. A meno che il cervello non sia l' intermediario di una mente indipendente. Secondo due eminenti medici britannici l'anima esisterebbe. Peter Fenwick, neuropsichiatra all'Istituto di neuropsichiatria di Londra e Sam Parnia, ricercatore clinico presso l'ospedale di Southampton, in seguito ad analisi strettamente scientifiche, hanno ipotizzato che la mente sia indipendente dal cervello e che l'anima continui a vivere dopo la morte cerebrale. Gli studiosi si sono basati sulle testimonianze dei malati che hanno raccontato di aver provato un senso di pace e di gioia in una "condizione in cui il cervello non avrebbe dovuto essere in grado di sostenere processi lucidi o consentire loro di avere ricordi duraturi". In seguito a uno studio condotto al General Hospital di Southampton gli studiosi hanno intervistato 63 pazienti sopravvissuti all'arresto cardiaco. Fra questi, 4 persone avrebbero superato la c.d. scala Grayson, criterio medico per valutare le esperienze di "quasi morte" e ognuno di loro avrebbe avvertito sensazioni di pace eterna, di smarrimento della percezione fisica, di ingresso in un altro mondo. Secondo Parnia "ciò potrebbe fornire una risposta alla domanda se la mente o la coscienza siano prodotte dal cervello, o se il cervello non sia invece una specie di intermediario della mente, la quale esiste indipendentemente". Fenwick e Parnia hanno escluso che l'esperienza possa spiegarsi con un collasso delle funzioni celebrali causato da mancanza di ossigeno. Con l'analisi delle cartelle cliniche è stata altresì esclusa la possibilità che l'accaduto sia riconducibile a combinazioni di medicinali dato che le tecniche di rianimazione praticate in ospedale sono uguali per ogni paziente Le testimonianze relative a situazioni nelle quali il paziente, clinicamente considerato morto, è poi sopravvissuto e ha raccontato di essersi trovato in un mondo di luce, sono molte (migliaia) e sono state rese note anche in testi editi in varie lingue, compreso l'italiano. Singolare è invece l'esperimento condotto da alcuni scienziati russi. (da "La Stampa", in data 20 maggio 1995 - pag.6), - di Giulietto Chiesa. "Indagine sull'aldilà" - San Pietroburgo (Russia) Il cadavere è di una donna di 44 anni. L'hanno trovata impiccata undici ore prima. Ha ancora indosso un paio di mutandine rosa e una maglietta di colore stinto. Il cartellino al pollice del piede, con i pochi dati essenziali, una larga ecchimosi attorno al collo. Un tanfo orrendo ci circonda, emanante dalla centinaia e centinaia di cadaveri che aspettano l'autopsia, ammucchiati nei corridoi semibui di questo sconfinato obitorio che raccoglie i morti "per accidente". Il professor Kostantin Korotkov apre la sua valigetta nera. Sembra una ventiquattrore, in realtà è un apparecchio portatile di rilevazione con tante luci rosse. Attacca la spina, lega un elettrodo al polso sinistro della morta, distende le dita rattrappite della mano destra, che crocchiano e resistono ai suoi tentativi, finché riesce a disporre la mano, ormai allargata, su una tavoletta metallica, l'altro elettrodo, che contiene una lastra impressionabile, collegata all'apparecchio. Il ronzio elettrico segnala che l'esperimento è cominciato. Attorno alle dita della morta, nella penombra, si scorge nettamente un alone azzurro-viola piuttosto intenso, vibrante. È l'elettricità che lo produce ? Cos'è ? Korotkov si affaccenda con mosse calme attorno all'apparecchio. "Tutto viene registrato qui dentro. Insieme ai dati ricavati dalle lastre impressionate, commenta, verrà inserito nei nostri computer per l'analisi statistica. Anche su questo cadavere effettueremo rilevazioni ogni 2 ore, per 5 giorni, poi dovremo restituirlo. Oltre non possiamo andare, per adesso. L'ostacolo è giuridico-legale". Tutto quello che vediamo ha l'apparenza, e la sostanza, di un normale esperimento di laboratorio. Eppure qui, a San Pietroburgo, i ricercatori dell'Università Tecnica stanno cercando di rispondere a una domanda antica come l'umanità: resta qualcosa di noi dopo la morte ? "Le religioni , in tutti i tempi, hanno sempre risposto di sì - dice Korotkov -. È logico. Esse esistono proprio perché l'uomo ha sempre pensato o sperato, di essere in qualche modo immortale.
La scienza si è dovuta fermare al limitare dell'ultimo respiro, semplicemente perché non c'era modo di andare oltre con prove sperimentali. I nostri esperimenti dicono che, invece, si può andare oltre. Ci troviamo sulla spiaggia di una terra inesplorata, che si delinea sterminata, e dove un giorno troveremo risposte che potrebbero mutare l'intera nostra percezione del mondo". Le labbra screpolate del cadavere sono semiaperte, immobili come un attimo fa. Gli occhi, segnati da una riga di trucco ormai disfatta, restano chiusi. Eppure questo corpo incontestabilmente senza vita "emette" ancora qualcosa. "Si, insiste Korotkov, possiamo affermare, dopo due anni di ricerche, di aver ottenuto l'evidenza sperimentale dell'attività del corpo umano almeno per alcuni giorni dopo la morte. È qualcosa che sembra contraddlire tutto quanto si sapeva sino ad oggi, e cioè che tutte le attività fisiologiche dell'organismo si spengono rapidamente dopo la morte clinica e vanno a zero in un determinato, breve, periodo di tempo". Le domande si affollano, la tentazione di sconfinare dal solido terreno sperimentale nella sterminata serie di ipotesi, estrapolazioni, teorie, si fa irresistibile. "Qui il confine tra scienza e esoterismo diventa sottile, ma dobbiamo resistere alla tentazione, che io stesso provo, di lanciarsi nell'ignoto". Chi commenta così è Ghennadij Nikolaevic Dulnev, il direttore del "Centro di Tecnologia enegetico-informativa" di cui il programma di Korotkov è soltanto una parte. Il centro di Dulnev si occupa della registrazione obbiettiva, della verifica, reperibilità, utilizzazione pratica di una larga serie di fenomeni "paranormali", come telepatia e telecinesi. Si era partiti dalla ricerca diagnostica. Si suppone da tempo che il corpo umano "emetta" un campo, (CEI) per ora sconosciuto, contenente una vasta quantità d'informazioni sullo stato dell'individuo, sulle sue caratteristiche biologiche, psichiche, ereditarie, e quindi anche sul suo stato di salute. Attraverso l'uso sistematico dello "effetto Kirlian" sui pazienti, si è scoperto che il campo emesso dall'individuo contiene effettivamente dati che possono aiutare a comporre un ritratto completo, per esempio, dello stato degli organi interni. Già, ma che c'entra il cadavere ? Korotkov e il suo gruppo, due anni fa, pensarono di provare a vedere cosa succedeva sottoponendo un cadavere alla stessa analisi. Lo scopo era piuttosto semplice: "Volevamo osservare - spiega Korotkov, che è un fisico e non un medico - in quali tempi si affievolisce e scompare, dopo la morte, il campo energetico-informativo che circonda l'individuo". E qui è arrivata la sorpresa. Una sorpresa sconvolgente. Il "campo" non scompare. Non solo, a quanto sembra l' "emissione", tra l'altro, ha un rapporto con le "modalità della morte". Per esempio: i defunti per vecchiaia fanno registrare un graduale indebolimento del "segnale" nelle prime 48 ore dopo il decesso. Ma esso si stabilizza e permane, seppure debole, anche oltre. Altro esempio: i decessi per incidente o per cause improvvise. In questo caso si registra un brusco aumento del "segnale" nelle prime venti ore, seguito da un'altrettanta brusca caduta, fino a un livello stabile e debole. Il terzo esempio è il più inquietante. Riguarda i decessi in condizioni di acuta sofferenza, in seguito ad assassinio, violenze fisiche. Qui l'emissione post mortem ha un andamento irregolare che si prolunga per l'intero periodo di osservazione (finora per i cinque giorni successivi alla morte) e non registra alcuna stabilizzazione (esplosioni d'intensità cui fanno seguito cadute improvvise). In particolare i suicidi mostrano un andamento delle emissioni talmente convulso da poter essere distinto da tutte le altre cause di morte. "La criminalistica, dice Korotkov, può usare questi risultati per stabilire senza margine di errore se il defunto è stato ucciso o si è ucciso". Ma questo è un semplice dettaglio pratico. Balza agli occhi una serie di immediate conseguenze. Il corpo del defunto "trasmette" informazioni che "ricordano" gli ultimi istanti della vita. Come è possibile ? e questa informazione persiste indipendentemente dall'allontanarsi dal momento della morte. Ma perché le osservazioni si sono fermate al quinto giorno ? "Per ragioni legali, risponde Korotkov, i corpi che ci vengono dati in osservazione debbono essere restituiti all'autorità giudiziaria. Certo vorremmo andare oltre, fino al nono o la quarantesimo, per vedere cosa succede". E perché questi due intervalli ? "Perché siamo convinti che le credenze religiose di molti popoli abbiano a che fare con quel che stiamo studiando". Siamo vicini alla scoperta di qualcosa di simile all' "anima" ? Ciascuno la chiami come vuole. "Il nostro linguaggio risente della nostra cultura attuale e delle nostre tradizioni, commenta Dulnev, ma io penso che dobbiamo cominciare a pensare che il nostro mondo è molto più complesso di quanto crediamo. Noi viviamo oggi nello spazio-tempo-materia. Non basta per spiegare fenomeni come quelli di cui stiamo parlando. Bisogna supporre l'esistenza di un'altra dimensione, di un campo informativo, dove le trasmissioni avvengono a velocità superiore a quella della luce". "Sono ipotesi, continua Korotkov, ma noi pensiamo che i guaritori (e, in linea di principio, ogni individuo) siano come degli apparecchi ricetrasmittenti imperfetti, che riescono a sintonizzarsi più o meno bene con questo campo. Questo spiegherebbe perché i risultati dei singoli esperimenti possono essere contraddittori. Ma sul piano statistico, una volta raggiunta una sufficiente quantità di dati, questa contraddittorietà scompare. Gli esperimenti condotti nella ricerca di persone scomparse, ad esempio mostrando ai guaritori una semplice fotografia, permettono di fissare un esito positivo nell'85 per cento dei casi. Il margine di errore è straordinariamente basso. È come se determinate persone, particolarmente dotate e allenate, riuscissero a entrare in contatto con un patrimonio d'informazione comune, estraendone dati. I defunti lascerebbero attorno a noi, da qualche parte, qualcosa del loro patrimonio informativo È come se determinate persone, particolarmente dotate e allenate, riuscissero a entrare in contatto con un patrimonio d'informazione comune, estraendone dati. I limiti sperimentali attuali sono evidenti. Con queste apparecchiature si può registrare l'emissione soltanto finché il corpo esiste, cioè esistono le dita. A decomposizione avvenuta, o dopo la cremazione, lo strumento non funziona e bisognerà inventare altri sistemi di rilevazione. Ma il professor Dulnev non dispera. La ricerca prosegue in parallelo. Sui computer c'è già una cospicua serie di rilevazioni sull'esistenza del campo. "I nostri esperimenti dimostrano senz'ombra di dubbio, ad esempio, che la telepatia è una realtà", dice Dulnev mostrando decine di episodi sperimentali di trasmissione telepatica provocata in laboratorio. E non si tratta di trasmissione elettromagnetica, ma di "qualcos'altro". Cosa ? Dulnev allarga le braccia". "Le nostre apparecchiature misurano massa, energia, impulsi, non questo campo. Ma ora sappiamo che possiamo entrare in contatto con esso, rilevarne l'esistenza e captare una microscopica parte dell'informazione che esso contiene o rappresenta. Attorno a noi c'è un'altra realtà che finora abbiamo considerato supernaturale, soprannaturale. Forse lo è, forse non lo è. Ma c'è"
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