Vincere e perdere: il cigno nero
IL CIGNO NERO
Il vincitore fa ombra sul perdente.
Ma come amava dire Indro Montanelli « la sconfitta è il blasone delle anime ben nate ».
Quale potere seduttivo esercita la disfatta ?
In effetti la sconfitta ha un certo fascino, rovinoso tanto quanto grande ed eclatante è il potere della vittoria.Le ombre del declino, hanno un potere ipnotico sulla gente,tanto quanto lo splendore della vittoria è capace di abbagliare e accecare la vista dello spettatore.
Perchè si tratta pur sempre di uno spettacolo,che mette in scena questo incessante dualismo,che costringe il protagonista ad accettare di essere artefice di entrambi i plotoni.
Poderosa è la vittoria,che accende lo squardo,raddrizza la colonna vertebrale,sprigiona i sentimenti e ci libera dalle paure.
Dolorosa è la sconfitta che abbassa lo sguardo,incurva le spalle e incatena ogni certezza.
E’una battaglia spettacolare che mette l’uomo nella condizione di conquistarsi quel potere immortale,attraverso la dura accettazione della mortalità delle sue azioni.
Ed è proprio li, al confine tra mortalità e immortalità,che il pubblico si identifica nello scenario.Perchè il successo ci avvicina e al tempo stesso ci allontana dalla gente,fa sognare ma al tempo stesso crea illusioni,crea speranze destinate a trasformarsi in impossibilità di identificazione.
Ed è il che subentra il magico potere della sconfitta,che riporta l’eroe fra i comuni mortali.
Quello che resta agli occhi del pubblico è il risultato finale,la medaglia al collo,lo spettacolo che va in scena.Il « dietro le quinte » resta un mistero custodito dall’anima che l’ha vissuto.
Questa è la storia dell’uomo.
E nell’alternarsi di questi due poli si esprime tutto il fascino di un arte misteriosa quale la scherma,in cui l’uomo si nasconde dietro una maschera per svelare in realtà la sua vera identità.
Un duello in cui ogni stoccata messa rappresenta la morte di uno stato d’animo e la liberazione progressiva dalle proprie paure.
La diretta espressione di quello che ognuno sente con il minimo utilizzo di mosse e energie,in cui solo quando ogni movimento si libera dell’artificiosità con cui tendiamo a complicare le cose,diviene autentico,senza disperdersi nell’esprimersi.
L’avversario porta sempre e un solo nome,il nostro. La spada diventa il mezzo con il quale trafiggere quelle euforiche velleità che ci allontanano dall’obbiettivo della vittoria.
Le lancette girano sempre alla stessa velocità,ma la percezione che si ha del tempo,è ancorata alla capacità dello schermidore di compiere le sue azioni disinteressate dal risultato finale,libere dal desiderio di gloria,da quell’istante in cui trionferà eroicamente agli occhi dell pubblico.
Soltanto accettando la sua mortalità,lo schermidore vivrà quell’istante come se fosse l’ultimo,sprigionando la sua vera natura.
In questo duello,a differenza di altri sport, non c’è tempo per esitare,perchè in quella frazione di secondo in cui il dubbio ruba l’attenzione,la spada dell’avversario penetra senza pietà il suo colpo.
Ed è la paura della luce,che ci fa cadere nell’ombra,ma è nell’ombra che troviamo il coraggio di cercare la luce.
Il vero « cigno nero » è infatti la proiezione delle nostre azioni nel futuro,che le allontana dal loro compimento nell’istante presente.
di Nathalie Moellhausen
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