Quando noi cristiani parliamo dello sviluppo dobbiamo intenderlo così come proposto dalla Populorum progressio, vale a dire come lo sviluppo
di tutti gli uomini e dell’uomo integrale. L’autentico sviluppo dell’uomo concerne, in modo unitario, la totalità della persona in tutte le sue dimensioni.
Paolo VI, afferma nella sua enciclica, che il progresso — nella sua fonte e nella sua essenza — è una vocazione: «nel disegno di Dio, ogni uomo è
chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione». Questo è proprio ciò che legittima l’intervento della Chiesa nella problematica dello sviluppo. Se ciò riguardasse solamente gli aspetti tecnici della vita dell’uomo e non il senso del suo camminare nella storia, la Chiesa non avrebbe nulla di cui parlare.
La dimensione pubblica della religione, o se si vuole della Chiesa, è di somma importanza. Dato che la convivenza delle persone nella società è qualcosa di innato
alla persona umana e prendendo in considerazione che la presenza della religione è anche una realtà che non può essere vissuta al di fuori della società, è normale che
la religione abbia una presenza pubblica nella convivenza sociale.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fornisce un elenco di diritti fondamentali, tra i quali vi è il diritto alla libertà religiosa, nei termini espressi dall’art. 18
della suddetta Dichiarazione.
Questo diritto non si riferisce solamente al culto e alle credenze personali in pubblico o in privato, da soli o associati. Esso comprende anche l’esercizio creativo della
fede e della vita religiosa, la sua manifestazione pubblica e la sua diffusione mediante l’esercizio del diritto alla libera riunione, d’espressione ed associazione sancito negli articoli 19 e 20. Un diritto pertanto che lo Stato deve tutelare e che non può ignorare. Ancora una volta, una pretesa separazione di campi di competenza
tra Chiesa e Stato, frutto della reciproca ignoranza tra i due organismi, non è né giuridica né politicamente accettabile. È necessario distinguere tra ciò che è “laicità
dello Stato” e ciò che è una “società laica”. Non si può ignorare che la laicità dello Stato è al servizio di una società pluralistica nella sfera religiosa. Una società laica, invece, comporterebbe la negazione sociale del fenomeno religioso o, almeno, del diritto di vivere la fede nella sua dimensione pubblica. Cosa che sarebbe contraria alla laicità dello Stato. La Chiesa, lungi dal chiudersi in se stessa rinunciando all’azione, deve mantenersi viva e incrementare il suo dinamismo. I cristiani devono dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi delle gente. Se sapremo farlo, la Chiesa renderà un grande servizio ai nostri Paesi.
La società pluralista in cui viviamo vuole cercare il “posto” proprio dei cristiani e della Chiesa in questa nuova situazione socio-culturale, senza che ciò supponga la perdita della propria identità.
La Chiesa non può pretendere di imporre ad altri la propria verità. L’importanza sociale e pubblica della fede cristiana deve evitare una pretesa di egemonia culturale
che si avrebbe se non si riconoscesse che la verità si propone, ma non si impone. Ma questo non significa che la Chiesa non debba offrirla alla società, con tutto
quello che significa realizzare l’«annuncio del Vangelo». È necessario offrire ogni genere di ricchezza contenuta nell’umanesimo cristiano, di grande interesse per
molte persone — soprattutto i giovani — e di volerlo vivere con illusione e gioia. La presentazione del messaggio di Gesù, in modo chiaro e fedele, è il compito prioritario
della Chiesa nella nostra società. Certamente il pieno riconoscimento del vero ambito del religioso è vitale per un’adeguata e feconda presenza pubblica della Chiesa
nella società. Il religioso va oltre gli atti tipici della predicazione e del culto; si ripercuote e si espritenzione agli anziani e ai malati, dell’educazione e insegnamento,
della cultura. Sarebbero delle città povere, molto povere, disumanizzate, con gravi problemi sociali. La presenza della Chiesa nella società e le relazioni tra gerarchia
e autorità civili devono essere di dialogo leale e di collaborazione costruttiva a partire dalla propria identità. La Chiesa deve contribuire al discernimento di alcuni
valori che sono in gioco nella società e che incidono sull’autentica realizzazione della persona umana e della convivenza sociale. In tal modo, a nessuno dovrebbe dar fastidio la voce profetica della Chiesa sulla vita familiare, sociale e politica, anche quando va controcorrente rispetto a opinioni ampiamente diffuse. Il nostro conformismo priverebbe la società di un’antica saggezza che abbiamo ricevuto dall’alto e che è gruppi sociali, religiosi e culturali che si occupino di un’irrigazione spirituale ed etica dei cittadini, affinché dopo essi, nel libero esercizio dei loro diritti e della loro partecipazione politica, trasmettano allo Stato il riflesso di queste sensibilità morali ed esigano il rispetto, la tutela e la protezione di questo vigore spirituale senza il quale non può esistere una società libera né una cittadinanza responsabile. Per rendersi conto del servizio che la Chiesa presta, basti pensare a ciò che sarebbe di una città, per esempio Santiago de los Caballeros o Barcellona, senza la presenza e l’azione delle parrocchie, delle comunità religiose, delle associazioni e delle istituzioni ecclesiali nel campo della spiritualità, dei rapporti interpersonali, della povertà e dell’emarginazione, dell’atstata presente e attiva nelle radici della nostra antropologia e della nostra storia.
Lo Stato non può ignorare l’esistenza del fenomeno religioso nella società. Pretendere che lo Stato laico debba agire come se questo fatto religioso, anche come corpo
sociale organizzato, non esistesse, equivale a situarsi ai margini della realtà. Il problema fondamentale del laicismo che esclude dall’ambito pubblico la dimensione religiosa consiste nel fatto che si tratta di una concezione della vita sociale che pensa e vuole organizzare una società che non è la società reale. La fede o la non credenza sono oggetto di una scelta che i cittadini devono compiere nella società, soprattutto in una società culturalmente pluralista in rapporto al fatto religioso. Lo Stato è laico ma la società non lo è!
Fonte: L'Osservatore Romano
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