Già nel 2008 Papa Benedetto XVI affermava che “Il fenomeno della secolarizzazione rappresenta una minaccia per il futuro dell'umanità.” Durante l’udienza del 10 Marzo 2008, l’allora Pontefice proseguì dicendo che
”la secolarizzazione, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell'umanità senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall'esistenza e dalla coscienza umana. Questa secolarizzazione non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall'interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale. La 'morte di Dio' annunciata, nei decenni passati, da tanti intellettuali cede il posto ad uno sterile culto dell'individuo”.
Uno dei pilastri di questo culto dell’individuo risiede nella libertà di autodeterminazione dell’io.
Vale a dire: Ogni uomo è il dio di sé stesso.
Ognuno è padrone della propria vita e deve poter decidere come disporne, definendo per sé cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è bene e cosa è male, autodeterminando da sé persino il proprio genere sessuale (dopo averne inventati di nuovi oltre a quello maschile e femminile) ignorando l’ordine naturale prestabilito. Ognuno stabilisce autonomamente e soggettivamente cosa sia vero e cosa sia falso.
Ora, perchè ogni essere umano possa essere libero di autodeterminarsi come meglio crede, è divenuto necessario eliminare ogni tipo di parametro di riferimento sul senso delle parole e dei principi etici sino ad oggi conosciuti al punto che ogni definizione concettuale ha finito per assumere tanti significati quanti sono coloro che decidono di rideterminare quei concetti in relazione a sé stessi.
E’ ciò che l’allora Cardinale Ratzinger definì “relativismo” in un’omelia del 17 aprile 2005:
«Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» (Benedetto XVI)
Per questa corrente di pensiero postmoderna vale invece il detto:
«Ogni cultura ha il suo proprio criterio, la cui validità comincia e finisce con esso. Non vi è alcuna morale umana universale» (Oswald Spengler da Der Untergang des Abendlandes, I, 55)
Oppure come diceva Friedrich Nietzsche:
«Non esistono fatti, solo interpretazioni»
E’ così che, negando l’esistenza di una verità e di un unico senso profondo di ogni fatto esistente, si creano tante nuove realtà corrispondenti alle proprie interpretazioni dei fatti.
Ecco allora che diventa impossibile definire cosa sia la Vita o l’Amore o la Libertà o la Verità o la Natura o la Sessualità o la Sofferenza o la Morte o qualsiasi altro concetto/valore.
Se per alcuni dei suddetti concetti è anche comprensibile e normale che vi siano più visioni e interpretazioni legate alla cultura, alla tradizione, alla fede religiosa, per altri concetti appare più strano e pericoloso affidarsi alle proprie interpretazioni.
Difatti, vi sono alcuni valori che sono, o dovrebbero essere, universali e universalmente buoni e positivi per tutti gli uomini. La Vita, per fare un esempio, che è quanto di più prezioso abbiamo, dovrebbe essere considerata come sacra e quindi tutelata in ogni modo dal principio fino al suo termine, mentre purtroppo non è così ed anch’essa è soggetta al dominio del dio uomo, il quale desidera essere libero persino di autodistruggersi pur di sentirsi onnipotente.
In più, oggi viene contestata qualunque affermazione che vada a contrastare con l’interpretazione dell’io di qualcun altro. Per cui non esiste più nulla che possa essere considerato universalmente buono o non buono. Nulla può essere definito come bene evidente o come male evidente. Anzi, non è quasi più possibile definire o giudicare nulla per non discriminare chi di quel fatto ha una differente visione o interpretazione.
Qual è il rischio di questo modo di pensare ?
Il rischio è quello di perdere i punti di riferimento che danno senso e valore alla nostra vita. Il rischio è quello di perdere ciò che ci dà identità, che ci dà senso, che ci dà realizzazione, soddisfazione, gioia vera, felicità pura.
Credo vi sia un profondo nesso tra questo modo di pensare e la sempre più crescente depressione, insoddisfazione e incapacità di relazionarsi e amare delle persone, che ha come estrema conseguenza la loro infelicità.
Il mondo è pieno di gente che cerca costantemente risposte al proprio vuoto interiore, alla propria insoddisfazione latente, alla propria sete di gioia. E’ così da sempre ma oggi appare più difficile rispetto al passato raggiungere la meta della propria ricerca. Eppure, in fondo, tutti conoscono il segreto per essere felici e realizzati.
Ogni essere umano è felice quando sa e sente di essere amato e quando è capace di amare.
Ma perché allora c’è tanta tristezza, insoddisfazione e tanti uomini non realizzati costantemente in ricerca di felicità ?
Perché non tutti hanno conosciuto l’Amore, non tutti sanno di essere amati, non tutti sono amati e non tutti sono capaci d’amare.
Come risolvere questa mancanza d’Amore ? Bisogna continuare a cercarLo, ma è necessario cercarlo nel posto giusto.
E’ impossibile infatti trovare la risposta giusta se si pone la domanda sbagliata, ed è impossibile porre la domanda giusta se si cambia il senso delle parole che la compongono.
L’Amore si compiace della Verità, risiede nella Verità, ama nella Verità.
Pertanto, va cercato in ciò che è vero e autentico.
Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. (Cit. CARITAS IN VERITATE)
Ma nel momento in cui si cancella ogni possibile verità assoluta, come si potrà cercare qualcosa che sia oggettivamente valido e profondamente verace ?
Si potrà trovare l’amore nella menzogna ? Decisamente no !
Nella menzogna non si potrà trovare nulla, non la libertà autentica, non l’amore autentico, non la gioia autentica. Non si potrà vivere la vita che si è chiamati a vivere e questa è la più grande mancanza, il più grande peccato che si possa commettere, un vero delitto per la propria unica esistenza. Vivere nella menzogna equivale a non vivere.
Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. (Cit.CARITAS IN VERITATE)
L’altro punto fondamentale di questa corrente di pensiero moderna, relativista, laica e politically correct è nascosta in questa espressione assai usata: l’importante è amarsi.
Naturalmente, il concetto di amore soggiacente a questa affermazione è alquanto generico.
Con l’affermazione “L’importante è amarsi e volersi bene” si intende che l’importante è che due persone siano consenzienti e coscienti nel raccontarsi che si amano.
Il fatto che non prendano alcun impegno concreto per dimostrarsi che si amano poco importa. Dopotutto l’amore (erroneamente) inteso come un emozione, un sentimento che va assecondato finché dura, non è mica a tempo indeterminato, non è mica indissolubile, totale o incondizionato.
Questo concetto di amore equivale allo stare bene insieme. Ci si ama finché si sta bene insieme, poi se capita qualcosa di imprevisto è sufficiente lasciarsi e trovare qualcun altro da amare, tanto l’importante è amarsi e volersi bene, che poi però si traduce in cercare la propria realizzazione altrove e con qualcun altro.
Che importa se la parola Amore ha un altro significato quando ciascuno può dare dell’amore la propria interpretazione, il proprio punto di vista, la propria definizione ?
Nel momento in cui si esclude di guardare la vita e l’amore nella verità, tutto diventa lecito anche se non giova, tutto diventa possibile anche se non dà felicità e soddisfazione, tutto diventa vero anche se non è vero.
L’importante è volersi bene e amarsi.
Ad esempio, se due persone si amano, che importa se sono dello stesso sesso ? Che importa trascurare il piccolissimo dettaglio che l’uomo in verità o maschio o femmina ?
Ci sarà un motivo se si nasce maschio e femmina, ci sarà un motivo se maschio e femmina sono complementari, se dalla loro unione nasce la vita, ci sarà qualche senso in tutto questo ma perché domandarselo se l’importante è amarsi e volersi bene ? Quando c’è l’amore c’è tutto, no ?
Basta pronunciare la parolina magica “amore” in maniera romantica ed emotiva, con tanto di sentimento buonista e politicamente corretto, in modo da giustificare ogni tipo di comportamento, anche se per nulla buono per sé.
Quando si parla dell’amore non si fa alcun accenno al fatto che l’Amore comporti il DONARSI con Verità, Libertà, Fedeltà, Purezza, Castità, Totalità, Indissolubilità, Perdono, Sacrificio, Umiltà, Gratuità, senza condizioni e senza cercare il proprio interesse. Mica vengono dette queste cose.
Meglio dire “Và dove ti porta il cuore” e lasciarsi trasportare dal sentimentalismo e dalle emozioni. Meglio dire che “l’importante è amarsi” senza chiarire cosa sia l’Amore vero.
D’altronde, se ognuno può definire il mondo soggettivamente annullando il senso profondo di ogni aspetto e realtà della Creazione e creando un proprio senso di ogni cosa, ci troveremo di fronte ad una nuova Babele.
Una babele etica e morale anziché di lingue, un disastro di confusione in cui è difficile districarsi.
Personalmente reputo di grande aiuto utilizzare come parametro quello del frutto, come sta scritto:
“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.” (Matteo 7,15-20)
Dunque, dal frutto si riconosce l’albero.
C’è poi un problema serio anche per quanto concerne il bene comune.
Bisogna poi tenere in grande considerazione il bene comune. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella pólis. (Cit. Caritas in Veritate)
Già, ci sono poi i cristiani.
Sono coloro che hanno conosciuto Gesù che è la Via, la Verità e la Vita.
Hanno conosciuto il Maestro dell’Amore e lo seguono.
Hanno conosciuto la Gioia vera e per questo scelgono di non conformarsi alla mentalità di questo mondo ma di vivere la libertà che è propria dei figli di Dio. Libertà che significa scegliere di obbedire a Colui che ci ha creati per amare e per la felicità, libertà che significa scegliere di donarsi e amare come Gesù si è donato e ci ha amati per primo.
Oggi questa mentalità diffusa spesso mette dubbi, perplessità e mette alla prova la fede anche dei cristiani.
In questo contesto culturale, c'è il rischio anche per i credenti di cadere dunque "in un'atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo". (Cit. Benedetto XVI)
Altro rischio per i cristiani è quello di cadere nel tranello usato dai non credenti i quali, facendo leva sul criterio cristiano (erroneamente inteso) del “non giudicare” e su un Gesù inventato buonista “che ama tutto e tutti a prescindere da tutto”, confondono i credenti al punto che essi dimenticano che Gesù ama il peccatore ma non il peccato, era tollerante verso il peccatore ma non tollerava il peccato. Egli è Colui che alla donna adultera disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più» (Gv 8,11) ed ad un altro uomo appena guarito disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv 5,14).
Dunque, senza condannare e senza giudicare la persona, anzi amandola e avvicinandosi con grande delicatezza e rispetto, Egli però non nasconde il suo peccato e non fa finta di nulla, soprattutto non la asseconda dicendole che va tutto bene. No, non va tutto bene. Il peccato fa male, rovina la vita, porta distruzione, divisione, infelicità. Non può essere tollerato per una sorta di buonismo sentimentale. Non sarebbe vero Amore.
Ripeto, l’amore e la menzogna non sono compatibili.
Se io amo qualcuno, pur lasciandolo ovviamente libero di compiere le sue scelte, ho la libertà e il dovere di amarlo in verità e per amore della Verità e proprio perché gli voglio bene non potrò assecondare eventuali comportamenti non buoni ma dovrò dargli la mia testimonianza, dovrò raccontargli la Buona Novella, dovrò dirgli che c’è un’altra Via che è la Via, che è Gesù Cristo, che fa nuove tutte le cose.
«Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l'esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare (cf Gv 3,17), Egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone» (Cit. Paolo VI)
“Il primo modo di amare gli uomini è dire la Verità” (Cit. Giovanni Paolo II)
Infine, si ripropone la domanda: QUID EST VERITAS ?
Per chi non crede, l’augurio è che possa cercare la Verità seguendo il percorso tracciato da quella sete di felicità e seguendo le indicazioni dei frutti prodotti dalle scelte effettuate.
Per chi crede l’augurio è quello di convertirsi ogni giorno sempre di più a immagine di Cristo Gesù, perché da Lui possa imparare ad amare come ama Lui che è la Via, la Verità e la Vita.
La verità più bella e certa, sulla quale possiamo fare sicuro affidamento è questa:
SIAMO AMATI ALLA FOLLIA DAL SIGNORE NOSTRO DIO, QUESTO E' IL PUNTO DI PARTENZA DI TUTTO.
“Credere in Dio ci rende portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l'opinione del momento, ci chiede di adottare criteri e assumere comportamenti che non appartengono al comune modo di pensare. Il cristiano non deve avere timore di andare controcorrente per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di uniformarsi. In tante societa' di oggi Dio e' diventato il grande assente e al suo posto vi sono molti idoli, prima di tutto l'io autonomo". (Benedetto XVI)
Si è determinata, infatti, una nuova situazione entro la stessa comunità cristiana, che ha conosciuto il diffondersi di molteplici dubbi ed obiezioni, di ordine umano e psicologico, sociale e culturale, religioso ed anche propriamente teologico, in merito agli insegnamenti morali della Chiesa. Non si tratta più di contestazioni parziali e occasionali, ma di una messa in discussione globale e sistematica del patrimonio morale, basata su determinate concezioni antropologiche ed etiche. Alla loro radice sta l'influsso più o meno nascosto di correnti di pensiero che finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità. Così si respinge la dottrina tradizionale sulla legge naturale, sull'universalità e sulla permanente validità dei suoi precetti; si considerano semplicemente inaccettabili alcuni insegnamenti morali della Chiesa; si ritiene che lo stesso Magistero possa intervenire in materia morale solo per « esortare le coscienze » e per « proporre i valori », ai quali ciascuno ispirerà poi autonomamente le decisioni e le scelte della vita.
È da rilevare, in special modo, la dissonanza tra la risposta tradizionale della Chiesa e alcune posizioni teologiche, diffuse anche in Seminari e Facoltà teologiche, circa questioni della massima importanza per la Chiesa e la vita di fede dei cristiani, nonché per la stessa convivenza umana. In particolare ci si chiede: i comandamenti di Dio, che sono scritti nel cuore dell'uomo e fanno parte dell'Alleanza, hanno davvero la capacità di illuminare le scelte quotidiane delle singole persone e delle società intere? È possibile obbedire a Dio e quindi amare Dio e il prossimo, senza rispettare in tutte le circostanze questi comandamenti? È anche diffusa l'opinione che mette in dubbio il nesso intrinseco e inscindibile che unisce tra loro la fede e la morale, quasi che solo in rapporto alla fede si debbano decidere l'appartenenza alla Chiesa e la sua unità interna, mentre si potrebbe tollerare nell'ambito morale un pluralismo di opinioni e di comportamenti, lasciati al giudizio della coscienza soggettiva individuale o alla diversità dei contesti sociali e culturali.
In alcune correnti del pensiero moderno si è giunti adesaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori. In questa direzione si muovono le dottrine che perdono il senso della trascendenza o quelle che sono esplicitamente atee. Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un'istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male. All'affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l'affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza. Ma, in tal modo, l'imprescindibile esigenza di verità è scomparsa, in favore di un criterio di sincerità, di autenticità, di « accordo con se stessi », tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale.
Come si può immediatamente comprendere, non è estranea a questa evoluzione la crisi intorno alla verità. Persa l'idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell'intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza dell'individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza. Tale visione fa tutt'uno con un'etica individualista, per la quale ciascuno si trova confrontato con la sua verità, differente dalla verità degli altri. Spinto alle estreme conseguenze, l'individualismo sfocia nella negazione dell'idea stessa di natura umana. (Cit. Veritatis splendor)
"Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, sbattuta da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale... Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. 'Adulta' non è una fede che segue le onde della moda e l'ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell'amicizia con Cristo". (18 aprile 2005, alla Messa "pro eligendo romano Pontifice" - Papa Benedetto XVI)
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La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.
Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l'irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della « veritas in caritate » (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della « caritas in veritate ». La verità va cercata, trovata ed espressa nell'« economia » della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale. Cosa, questa, di non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio.
Per questo stretto collegamento con la verità, la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica. Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme « Agápe » e « Lógos »: Carità e Verità, Amore e Parola.
Perché piena di verità, la carità può essere dall'uomo compresa nella sua ricchezza di valori, condivisa e comunicata. La verità, infatti, è “lógos” che crea “diá-logos” e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose. La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell'amore: è, questo, l'annuncio e la testimonianza cristiana della carità. Nell'attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività.
La carità è amore ricevuto e donato. Essa è « grazia » (cháris). La sua scaturigine è l'amore sorgivo del Padre per il Figlio, nello Spirito Santo. È amore che dal Figlio discende su di noi. È amore creatore, per cui noi siamo; è amore redentore, per cui siamo ricreati. Amore rivelato e realizzato da Cristo (cfr Gv 13,1) e « riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo » (Rm 5,5). Destinatari dell'amore di Dio, gli uomini sono costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi strumenti della grazia, per effondere la carità di Dio e per tessere reti di carità.
A questa dinamica di carità ricevuta e donata risponde la dottrina sociale della Chiesa. Essa è « caritas in veritate in re sociali »: annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società. Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità. La verità preserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia. È, a un tempo, verità della fede e della ragione, nella distinzione e insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi. Lo sviluppo, il benessere sociale, un'adeguata soluzione dei gravi problemi socio-economici che affliggono l'umanità, hanno bisogno di questa verità. Ancor più hanno bisogno che tale verità sia amata e testimoniata. Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali.
« Caritas in veritate » è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa.
(tratto dall’enciclica CARITAS IN VERITATE)
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