martedì 1 ottobre 2013

L'Iva passa dal 21 al 22% e scatta una raffica di rincari. Secondo le associazioni dei consumatori le ricadute per le famiglie andranno dai 207 ai 349 euro l’anno

Iniziano i cadeaux per gli italiani ma Natale è ancora lontano. La sorpresa della nuova settimana riguarda l'aumento di tanti beni di prima necessità  e non solo...........

L'Iva passa dal 21 al 22% e scatta una raffica di rincari. Secondo le associazioni dei consumatori le ricadute per le famiglie andranno dai 207 ai 349 euro l’anno

Scarpe, vino, birra, tv, radio e computer ma anche benzina, mobili, giocattoli, detersivi e parrucchieri. Da oggi con l’aumento dell’Iva dal 21 al 22% scatterà una raffica di rincari ed anche se i beni di prima necessità, come pane, carne, pesce e latte, non sono soggetti all’aumento, ne potrebbero subire gli effetti a causa dei maggiori costi di trasporto.

econdo le associazioni dei consumatori le ricadute per le famiglie andranno dai 207 ai 349 euro l’anno. Per non parlare dell’impatto sui consumi, già depressi. Secondo Confcommercio l’incremento dell’Iva andrà a incidere negativamente sulle spese natalizie e, in una situazione in cui l’inflazione è sotto controllo, determinerà un aumento dei prezzi tra ottobre e novembre dello 0,4%.
Il Codacons, che stima una stangata per le famiglie fino a 349 euro l’anno e un calo dei consumi del 3% su base annua. Secondo Adusbef e Federconsumatori, la stangata andrà dai 207 a 260 euro l’anno (62 euro solo per l’ultimo trimestre ottobre - dicembre. Alcuni grandi gruppi, come ha fatto in comunicato Ikea, hanno però già annunciato che assorbiranno l’aumento dell’imposta senza effetti sui prezzi.
L’aliquota che passerà dal 21 al 22% è quella ordinaria che si applica ai beni e i servizi che non rientrano nell’aliquota ridotta al 10% o in quella super ridotta al 4% riservata a pane fresco, burro, latte, frutta e ortaggi e altri alimenti di prima necessità. E quello che scatterà domani sarà il secondo rialzo di un punto nel giro di due anni: l’aliquota era già salita dal 20 al 21% dal 17 settembre 2011.
Diventeranno più cari vino, birra, succhi di frutta e alimenti pregiati come i tartufi. Anche il prezzo della benzina salirà per effetto dell’aumento dell’imposta. L’Iva aumenterà anche per le automobili, gli accessori auto, i pezzi di ricambio. E costerà di più anche la manutenzione e la riparazione dell’auto.Costeranno di più abbigliamento, calzature, pelletteria, biancheria per la casa, frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie e piccoli elettrodomestici, detersivi, televisori, radio, hi-fi, computer e prodotti di cancelleria. La stretta riguarderà anche estetista, barbiere e parrucchiere, lavanderia e tintoria, gioielli e bigiotteria.
Secondo la Cgia di Mestre fra le voci che subiranno i rincari maggiori ci sono i trasporti, carburanti in primis, con un aggravio medio di 39 euro. Altri 20 euro aggiuntivi graveranno sulla spesa per l’abbigliamento e le calzature e altri 17 euro per l’acquisto della mobilia e degli elettrodomestici. Per l’associazione l’aumento colpirà di più le famiglie numerose e più povere. Per i single l’aggravio potrà arrivare fino a 99 euro e per un lavoratore dipendente con moglie e figli a carico fino a 120 euro. Si allargherà anche il divario con gli altri principali paesi europei: 2,4 punti in più rispetto alla Francia e addirittura 3 punti percentuali in più rispetto alla Germania.
ESSELUNGA E IKEA - Ikea ed Esselunga, dal canto loro, hanno fatto sapere che assorbiranno l’aumento dell’Iva senza riversarla sui clienti. Il passaggio dell’imposta dal 21 al 22% non avrà impatto sul prezzo dei prodotti Ikea, afferma il marchio svedese in una nota con la quale Lars Petersson, a.d del gruppo in Italia, sottolinea che "Si tratta di un impegno notevole che ricambia, nei fatti, la fiducia che quotidianamente un gran numero di persone dimostrano visitando i nostri negozi".
Esselunga, in un comunicato distinto, spiega di aver deciso di non riversare sui clienti questo aumento dell’Iva, che interessa il 30% delle merceologie trattate nella catena di supermercati, come del resto aveva già fatto in un’analoga situazione a settembre 2011.
È stato il premier Enrico Letta a chiedere di non esaminare il rinvio. 
Il Cdm non ha approvato alcun provvedimento prima del chiarimento in Parlamento.

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