Così si fa informazione». Ma il mondo etero deve tacere
Dodici relatori e tutti assolutamente concordi, nemmeno una voce «contro »: tale il parterre dei conferenzieri invitati ieri al seminario di formazione per giornalisti "L’orgoglio e i pregiudizi: per un’informazione rispettosa delle persone LGBT" (lesbiche, gay, bisessuali, transgender).
Se dunque i sondaggi dimostrano che la stragrande maggioranza degli italiani continua a riconoscersi nella famiglia "tradizionale" (padre, madre, figli), questa non trovava mai rappresentanza (nemmeno come ipotesi) nella lunga lezione ai giornalisti del futuro. «Quella famiglia non esiste più», si è più volte spacciato
per un dato di fatto qualcosa che non lo è (la stessa pagina Facebook "Condividilove" ammette che "purtroppo il 67% degli italiani pensa come Barilla che la famiglia sia quella tradizionale, contro il 33%"). E lo scrittore Claudio Rossi Marcelli, snocciolando i «dieci vizietti dell’informazione italiana», ha alternato reali difetti giustamente messi all’indice (errori semantici o utilizzo di foto fuorvianti a corredo di articoli sulle persone gay) e affermazioni
del tipo «è sconvolgente quante volte nei libri per bambini o nelle pubblicità le famiglie sono ancora formate da un padre, una madre, due fratellini e pure il cane!». Perché ciò sia sconvolgente non è dato sapere... Il seminario, organizzato dal Redattore Sociale
(agenzia giornalistica nata venti anni fa in seno alla Comunità di Capodarco di don Vinicio Albanesi), ha insomma veicolato indiscutibili valori come il rispetto dovuto a chiunque a prescindere dall’orientamento sessuale, ma anche imposizioni ben poco democratiche e indifendibili: chi chiedeva a gran voce il diritto di esprimere la propria idea di "famiglia gay", metteva poi alla gogna
Barilla che aveva espresso la sua (appunto condivisa dagli italiani). «Domani lo incontro insieme a Scalfarotto (deputato Pd gay, ndr) e gli spieghiamo la giusta strategia di comunicazione », ha fatto sapere Fulvio Zendrini, pubblicitario, che così magari unisce l’utile (la "rieducazione" del reo Barilla) al dilettevole (che ci scappi un nuovo spot, finalmente in stile Ikea?).
Molto si è poi discusso di "hate speech", discorsi di odio, una piaga che secondo tutti gli astanti renderebbe urgente una legge contro
l’omofobia, anche se tutto questo odio per fortuna gli italiani non sembrano dimostrarlo: «In realtà commenti aggressivi non sono
quasi mai stati postati», hanno notato con sollievo Chiara Reali, responsabile del sito "Le cose cambiano" in cui giovani gay si raccontano con brevi video, ma anche Giuseppe Catalano, caporedattore di Gay.tv, e Matteo Gamba di "Vanity Fair" («ho il sospetto che la nostra società sia più rispettosa di quanto pensiamo
»). In realtà le esternazioni violente di qualche politico e alcuni giochi" su Fb come "Gay Hunter" (si fanno punti sparando sulle
parti intime di persone omosessuali) dimostrano che l’ignoranza è dura a morire, ma d’altronde non è figlia unica: «È uno scandalo
che Fb non rimuova quel gioco», ha detto Giovanni Boccia Artieri, docente di Sociologia a Urbino, scordando che Fb non ha mai rimosso la pagina blasfema contro la Madonna nonostante la mobilitazione di migliaia di credenti, e che tra i cosiddetti "giochi" c’è anche quello in cui si vince gettando esseri umani nelle foibe o sparando sui gommoni dei migranti... Insomma, il no all’omofobia per essere credibile deve diventare un no a tutte le discriminazioni. E far passare per "odio" l’opinione diversa è insopportabile prevaricazione, come ha sottolineato il sempre equilibrato Catalano: «Qualsiasi censura è sbagliata e controproducente, stiamo attenti a parlare di odio solo quando lo è».
di Lucia Bellaspiga
fonte: Avvenire
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