lunedì 7 ottobre 2013

«Chi si monta la testa la perde»


Da Il Messaggero del 2 Ottobre 2013 

«Chi si monta la testa la perde»


L'INTERVISTA

Domani c'è la presentazione del suo nuovo libro, al Tem­pio di Adriano, alle 13, con Fausto Bertinotti, Pier Fer­dinando Casini e Antonio Martino. E intanto, visto che tra colleghi ci si dà del tu, ec­co la prima domanda a Roberto Gervaso.

Perché definisci l'Italia «lo sti­vale zoppo» e così hai intitolato il tuo libro?

«Noi siamo un popolo che sta in piedi soltanto perché non sa da che parte cadere. E il nostro stiva­le zoppo sta perdendo anche la suola, il tacco, la tomaia, le strin­ghe».

Ma Gervaso, come si fa ad anda­re avanti se non resta più nien­te?

«In Italia sono nati Dante, Petrar­ca, Boccaccio, Machiavelli, Gali­lei, Manzoni, Fermi e mi fermo qui. Però sono nati anche Pulci­nella, Arlecchino, Balanzone, Ber­toldo, Pinocchio, Cagliostro, Ma­ramaldo, Schettino, la Minetti».

Ruby no.

«Ma fa lo stesso. Questa è l'Italia. Fatta da un popolo di pecore anarchiche».

La ricetta del suo libro è che dobbiamo spararci?

«Siamo ancora in tempo, per spa­rarci a salve. Ma se cade questo governo, ci spareremo alla tem­pia».

Possiamo sperare almeno nel miracolo della resurrezione, prima o poi?

«Certo che possiamo. Ma le solu­zioni sono due».

La numero uno?

«Diventare una colonia».

La due?

«Il balcone».

Ovvero?

«Diventiamo una colonia degli stranieri. Confermando la nostra ancestrale abitudine al servag­gio».

Tu che padrone sceglieresti?

«I tedeschi».

E il balcone significa che rina­sce Mussolini, proprio come lo hai resuscitato tu nel libro?

«Significa qualcosa di peggio».

No!

«E invece, sì. Non arriva un ditta­tore, arriva un Masaniello che du­ra sei mesi. E poi finisce anche lui a Piazzale Loreto.

Perché ti sei inventato la resur­rezione di Mussolini che rac­conta la seconda parte del'900?

«Da trent'anni volevo scrivere questo libro. Ho fatto sei contratti editoriali e ogni volta ho dovuto restituire i soldi. I volumi di sto­ria, anche quelli scritti meglio, ri­schiano di annoiare il lettore. Il quale ogni tanto deve evadere».

Perciò hai unito la fiction con la storia?

«Sì, il mio libro è fatto di due livel­li: uno rigorosamente storico e un altro di realtà romanzesca».

Esempio?

«Mussolini che va a Hiroshima e a Nagasaki. Lui che da giornalista racconta la Berlino del secondo dopoguerra e il processo di No­rimberga».

Perché ti piace giocare con Mus­solini?

«Perché nel bene e nel male', fino alla guerra d'Etiopia, quando si montò la testa, fu un protagoni­sta».

Uno statista?

«Questo, no. Gli statisti non pos­sono che essere democratici. Fu un abilissimo governante, uno scaltrissimo politico dotato di straordinario appeal mediatico. Mussolini ha cercato di mettere in divisa e stivali un popolo che ama le pantofole e il pigiama».

Ma come ha fatto a coltivare questa assurda pretesa?

«Si è montato la testa. Quando ci si monta la testa - e questo vale anche per Berlusconi - si perde la testa. Mussolini è finito a testa in giù, una scena di bassa macelle­ria messicana. Berlusconi più for­tunato, pur nella sua disgrazia, fi­nisce ai domiciliari o ai servizi so­ciali».

Tu il Cavaliere lo conosci bene, da 40 anni. Chi è?

«Una caricatura del Mussolini tra il '25 e il '35, che fu il Mussolini migliore. Ne ha fatte di cose».

E Berlusconi no?

«È stato un imprenditore geniale, come l'Italia non ha mai avuto. Mentre la politica, per lui, è stata soltanto un incidente di percorso. Ha confuso il consiglio dei mini­stri con il Cda della Fininvest. Non ha mai voluto conoscere la macchina dello Stato, delegando­ne la cura a Gianni Letta, vero fi­glio di Andreotti. Insomma: im­prenditore geniale da una parte; governate fallito e statista manca­to dall'altra. Voleva uscire dalla storia a cavallo, è uscito dalla cro­naca con una sentenza di condan­na».

Invece tu vorresti una riedizio­ne della Destra storica?

«Non c'è dubbio. Quello liberale è un codice etico. Che non invec­chia mai, perché crede nei valori. E non ha dogmi, non ha ideologie. Una democrazia può essere solo laica e liberale. Con un correttivo, nella distribuzione del reddito, di tipo laburista».

Non è una chimera questa De­stra?

«Nell'Italia di oggi è una grande chimera ma anche un'ancora di salvezza. Questa non è una demo­crazia, è un regime marcio e sgan­gherato. Con una destra triviale, quella della Lega. Con i post-fasci­sti arrapati di potere che hanno avuto un leader, Fini, che è stato il becchino di tutti e anche di se stesso e ora porta il cane a fare la pipì anzi è il cane che porta lui ú fare i bisognini».

Gervaso, non sarai mica diven­tato di sinistra?

«È più facile che io, senza prosta­ta, soddisfi un harem, piuttosto che diventi uno di sinistra». Però, confessa: ti piace Renzi. «Non è un rottamatore, è un illu­sionista. È un attore che non ha fatto la scuola d'arte drammati­ca».

Meglio Grillo?

«Dice in modo trucido ciò che mi­lioni di italiani pensano. Ma la sua parabola è destinata a finire, appena ci sarà in Italia la stabili­tà».

Enrico Letta ha provato a stabi­lizzarci un po'.

È un De Gasperi bambino. È per­sona seria, che ispira fiducia ma non dà certezze. Si è trovato pur­troppo con una coalizione tal­mente sgangherata che neppure le buone doti sono state sufficien­ti a farla funzionare».

Se non vogliamo spararci, allo­ra che cosa dobbiamo fare?

«L'Italia, per riprendersi, ha biso­gno di un trauma serio. Come quello del '45».

Ma non ci servono statisti?

«Uno lo abbiamo».

Non mi dire

«Si chiama Antonio Martino. Se Berlusconi mettesse in una gab­bia la Pitonessa, comprasse una fattoria in Toscana a Verdini e cu­cisse sul petto di Martino le gre­che della nuova Forza Italia, sal­verebbe quel partito, recupere­rebbe con questo gesto molta del­la sua reputazione, farebbe felice Martino e farebbe felice un vec­chio amico come me».

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