Domani 11 settembre (data emblematica) inizierà alla Camera dei Deputati la discussione sulla proposta di legge Scalfarotto-Leone, avente ad oggetto: Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, per il contrasto dell’omofobia e della transfobia.
Tale proposta di legge, com’è noto, non è altro che l’estensione della legge Mancino – che prevede forti sanzioni penali di tipo detentivo e accessorio a chi diffonde, incita a commettere, o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e che vieta, tra l’altro, ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per i motivi suddetti, – alla quale si è pensato di aggiungere altre due “categorie protette”: quelle afferenti all’omofobia e alla transofobia.
Tali termini hanno un’accezione incerta e comunque non prevista dal nostro ordinamento giuridico, il cui contenuto sarà determinato e non solo interpretato, dall’applicazione giurisprudenziale, con evidenti rischi di pronunce radicalmente difformi, a causa del significato discrezionale che di volta in volta l’autorità giudiziaria darà a tali termini.
Nonostante queste controindicazioni non si può non rilevare che una parte di cattolici sembra essere favorevole all’approvazione di questa proposta di legge, mitigata, tuttavia, dall’inserimento di qualche emendamento, che salvaguardi la libertà di opinione e di espressione.
Emergono, però, due dati importanti, che non possono essere trascurati da chi ha a cuore il bene comune e che fanno comprendere, che questa proposta di legge è del tutto dannosa e inopportuna per la convivenza sociale.
Il primo dato prende atto del progetto, che è sotteso all’approvazione della legge anti-omofobia e che ha di mira – per mezzo di fasi ormai ben chiare – il mutamento della struttura sociale in un modo del tutto artificiale, che prevede, tra l’altro, l’abolizione dal nostro ordinamento giuridico dei termini padre, madre, marito e moglie, com’è già avvenuto ad esempio in Spagna e in Francia e di cui anche in Italia si avvertono i segnali.
Ho sostenuto tempo fa, a tal proposito, che la legge anti-omofobia sarebbe stata il primo step per giungere al matrimonio omosessuale. Questa tesi è stata qualche giorno fa confermata, di fatto, dal relatore e ispiratore della legge, on. Ivan Scalfarotto. da L’Espresso scorso 26 agosto, Scalfarotto rivela che il dibattito sulla legge anti-omofobia «precede quello sui matrimoni gay, o sulle unioni». Perché tra queste due fattispecie – normativa sull’omofobia e introduzione del matrimonio omosessuale – «l’una viene logicamente prima dell’altra».
Le affermazioni di Scalfarotto, dunque, dissipano qualsiasi dubbio buonista sul fine della legge anti-omofobia, che, invece, ha un chiaro obbiettivo, che è quello di porre le basi pedagogiche e rieducative per decostruire i pilastri della convivenza sociale.
L’altro aspetto, assolutamente di primo piano, afferisce, invece, all’erronea convinzione di molti cattolici, che ritengono che il Magistero della Chiesa Cattolica non si sia ancora espresso sul contenuto della legge anti-omofobia e che, pertanto, sia indifferente per un cattolico assumere una posizione a favore, o contro la legge.
Le cose, invero, non stanno affatto così.
Il 23 luglio 1992, infatti, la Congregazione per la Dottrina della Fede presieduta dall’allora card. Joseph Ratzinger ha pubblicato – a integrazione della Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali del 1986, a cura del medesimo Dicastero – talune indicazioni applicative dal titolo: Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali.
La Congregazione in tale importante e cogente documento afferma tre principi essenziali: a) che non esiste un diritto all’omosessualità; b) che non si può trattare l’omosessualità alla stregua di una questione razziale; c) che la condizione omosessuale non può essere la base di diritti.
Invito a leggere integralmente il documento che ritengo illuminante e pregno d’indicazioni dottrinali e applicative utili a tutti i cattolici e, tra questi, in special modo a quelli che si ritengono adulti.
Trascrivo, di seguito le parti del documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 1992 che ritengo più rilevanti e utili per il dibattito in corso.
Certamente tale documento non è scaduto, come ad esempio scade il cibo e come qualcuno potrebbe eccepire, ma è parte integrante del Magistero della Chiesa, al quale bisogna dare pieno ossequio, perché vincolante su questioni di fede e di morale per un fedele cattolico:
4. Con riferimento al movimento degli omosessuali, la Lettera afferma: «Una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione» (n. 9).
5. «È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi Pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona. Benché la pratica dell’omosessualità stia minacciando seriamente la vita e il benessere di un gran numero di persone, i fautori di questa tendenza non desistono dalla loro azione e rifiutano di prendere in considerazione le proporzioni del rischio, che vi è implicato» (n. 97)
…la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata. Quando tale affermazione viene accolta e di conseguenza l’attività omosessuale è accettata come buona, oppure quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, né la chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano» (n. 10).
8. «Dev’essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità» (n. 11).
9. «Nel valutare eventuali progetti legislativi, si dovrà porre in primo piano l’impegno a difendere e promuovere la vita della famiglia» (n. 17).
10. La «tendenza sessuale» non costituisce una qualità paragonabile alla razza, all’origine etnica, ecc. rispetto alla non discriminazione. Diversamente da queste, la tendenza omosessuale è un disordine oggettivo (cf. Lettera, n. 3) e richiama una preoccupazione morale.
11. Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio, nella collocazione di bambini per adozione o affido, nell’assunzione di insegnanti o allenatori di atletica, e nel servizio militare.
12. Le persone omosessuali, in quanto persone umane, hanno gli stessi diritti di tutte le altre persone incluso il diritto di non essere trattate in una maniera che offende la loro dignità personale (cf. n. 10). Fra gli altri diritti, tutte le persone hanno il diritto al lavoro, all’abitazione, ecc. Nondimeno questi diritti non sono assoluti. Essi possono essere legittimamente limitati a motivo di un comportamento esterno obiettivamente disordinato. Ciò è talvolta non solo lecito ma obbligatorio, e inoltre si imporrà non solo nel caso di comportamento colpevole ma anche nel caso di azioni di persone fisicamente o mentalmente malate. Così è accettato che lo stato possa restringere l’esercizio di diritti, per esempio, nel caso di persone contagiose o mentalmente malate, allo scopo di proteggere il bene comune.
13. Includere la «tendenza omosessuale» fra le considerazioni sulla base delle quali è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l’omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta «affirmative action» o trattamento preferenziale nelle pratiche di assunzione. Ciò è tanto più deleterio dal momento che non vi è un diritto all’omosessualità (cf n. 10) che pertanto non dovrebbe costituire la base per rivendicazioni giudiziali. Il passaggio dal riconoscimento dell’omosessualità come fattore in base al quale è illegale discriminare può portare facilmente, se non automaticamente, alla protezione legislativa e alla promozione dell’omosessualità. L’omosessualità di una persona sarebbe invocata in opposizione a un asserita discriminazione e così l’esercizio dei diritti sarebbe difeso precisamente attraverso l’affermazione della condizione omosessuale invece che nei termini di una violazione di diritti umani fondamentali.
14. La «tendenza sessuale» di una persona non è paragonabile alla razza, al sesso, all’età, ecc. anche per un’altra ragione che merita attenzione, oltre quella sopramenzionata. La tendenza sessuale di un individuo non è in genere nota ad altri a meno che egli identifichi pubblicamente se stesso come avente questa tendenza o almeno qualche comportamento esterno lo manifesti. Di regola, la maggioranza delle persone a tendenza omosessuale che cercano di condurre una vita casta non rende pubblica la sua tendenza sessuale. Di conseguenza il problema della discriminazione in termini di impiego, alloggio, ecc. normalmente non si pone.
Le persone omosessuali che dichiarano la loro omosessualità sono in genere proprio quelle che ritengono il comportamento o lo stile di vita omosessuale essere «indifferente o addirittura buono» (cf. n. 3), e quindi degno di approvazione pubblica. È all’interno di questo gruppo di persone che si possono trovare più facilmente coloro che cercano dì «manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi Pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile» (cf n. 9), coloro che usano la tattica di affermare con toni di protesta che «qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali…è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione» (cf. n. 9).
Inoltre, vi è il pericolo che una legislazione che faccia dell’omosessualità una base per avere dei diritti possa di fatto incoraggiare una persona con tendenza omosessuale a dichiarare la sua omosessualità o addirittura a cercare un partner allo scopo di sfruttare le disposizioni della legge.
15. Dal momento che nella valutazione di una proposta di legislazione la massima cura dovrebbe essere data alla responsabilità di difendere e di promuovere la vita della famiglia (cf. n. 17), grande attenzione dovrebbe essere prestata ai singoli provvedimenti degli interventi proposti. Come influenzeranno l’adozione o l’affido? Costituiranno una difesa degli atti omosessuali, pubblici o privati? Conferiranno uno stato equivalente a quello di una famiglia a unioni omosessuali, per esempio, a riguardo dell’edilizia pubblica o dando al partner omosessuale vantaggi contrattuali che potrebbero includere elementi come partecipazione della «famiglia» nelle indennità di salute prestate a chi lavora (cf. n. 9)?
16. Infine, laddove una questione di bene comune è in gioco, non è opportuno che le Autorità ecclesiali sostengano o rimangano neutrali davanti a una legislazione negativa anche se concede delle eccezioni alle organizzazioni e alle istituzioni della Chiesa. La Chiesa ha la responsabilità di promuovere la vita della famiglia e la moralità pubblica dell’intera società civile sulla base dei valori morali fondamentali, e non solo di proteggere se stessa dalle conseguenze di leggi perniciose (cf. n. 17).
A questo punto non servono molte parole per comprendere che la legge anti-omofobia che da domani verrà discussa in Parlamento è inaccettabile e non può per nessun motivo essere approvata da chi ha a cuore il bene comune.
Fonte: Tempi
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