lunedì 25 giugno 2012
Gemelli nel caos
Brutte notizie per il segretario di Stato Tarcisio Bertone. L’area sanitaria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che controlla l’ospedale Gemelli ha un debito di quasi 1 miliardo di euro, 750 milioni verso le banche e 170 milioni verso i fornitori, rischiando un crac finanziario che sembra quasi inevitabile. Giuseppe Profiti, consigliere della Cattolica, si rende conto della gravità della situazione e ne spiega anche il perché. In parte è causa da cattiva gestione, in parte causata dal fatto che i crediti iscritti a bilancio che il management dell’ospedale sostiene di avere nei confronti della Regione Lazio sono per lo più non riscuotibili.
A questo punto il Gemelli si deve guardare le spalle, la prospettiva del futuro sembra davvero terrificante, tra tagli del personale e degli stipendi, divisione tra università e ospedale, se non addirittura la messa in vendita dello stesso ospedale. Già a Dicembre la regione Lazio aveva detto di voler concedere al massimo 79 milioni, ma Profiti è più ottimista e spera in un’entrata del 50% per cento della somma richiesta. Tutto ciò non sarebbe comunque sufficiente all’estinzione del debito, che si porterebbe sui 400 milioni di euro e se questa cifra si sommasse al bilancio complessivo della Cattolica le conseguenze sarebbero davvero disastrose. Non solo non si potrebbe più far ricorso ad un finanziamento bancario strutturato ma la messa a conoscenza del giudice della situazione dell’università porterebbe all’apertura della procedura fallimentare ex officio.
Eppure se si torna indietro di qualche mese, la situazione e le speranze erano decisamente diverse. Bertone e Profiti avevano deciso, in accordo con l’ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, di comprare il San Raffaele: il primo passo verso la costruzione di un colosso sanitario vaticano comprendente oltre il Gemelli, l’Idi-San Carlo, il Bambin Gesù e la Casa di Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.
Ma il “piano” è andato poi svanito, assieme a tutte le speranze riposte in esso. Il San Raffaele è finito nelle mani di Giuseppe Rotello, Gotti Tedeschi è stato cacciato con disonore, il Toniolo è passato ad un nemico giurato come Angelo Scola, e nel frattempo gli ospedali cattolici, ad eccezione del Bambin Gesù, presentano conti a dir poco negativi, con un reale rischio ci un crac per alcuni di essi. In particolare all’Idi-San Carlo il personale viene pagato a stento, l’ultimo stipendio risale a Marzo e i nuovi dirigenti sono peggio di quelli precedenti, mentre l’ospedale fondato da Padre Pio è in rosso per 90 milioni, cercando tuttavia di ottenere nuovi crediti dalla regione Puglia. Intanto, s’indaga a Roma sui possibili responsabili di questo crollo.
Per quanto riguarda il Gemelli in particolare, i sindacati affermano che i problemi causa di questa situazione ad oggi, sono nati ben 6 anni fa, nel 2006. I nuovi accordi infatti prevedevano che la Regione pareggiasse i conti delle prestazioni sanitarie prodotte, quando invece l’ospedale ha continuato a spendere, iscrivendo a bilancio dei crediti che rappresentavano più che altro, pretese di ripiano dei costi annuali del Policlinico.
Ma la domanda fondamentale che sorge spontanea è: com’è possibile che l’ospedale “del Papa” abbia intrapreso la strada del fallimento? E qui la Santa Sede c’entra ben poco dato che il controllo di Stato c’è solo per il Bambin Gesù e l’ospedale di Padre Pio. Il Gemelli è proprietà della Cattolica, il cui cda è stato controllato negli ultimi anni dal rettore Lorenzo Ornaghi, ormai dimesso e ministro della Cultura da Novembre. Ma nel comitato permanente che tutto comanda, Bertone è in netta minoranza, la presidenza del Toniolo è stata affidata, per volontà di Ratzinger, nelle mani di Angelo Scola che quindi si troverà a dover gestire questa situazione.
Anche sulle soluzioni anti crac è evidente la separazione nel Toniolo e nel cda della Cattolica, considerate un tentativo della Santa Sede di egemonia nei confronti dell’Università e del Policlinico. Il prossimo cda è previsto per il 20 Giugno dovrà apparire quantomeno consolidato. Intanto la Chiesa si divide e più di 5 mila famiglie temono per il loro futuro, c’è tanta paura ma anche una forte speranza per il salvataggio.
A Roma è stato aperto un fascicolo per cercare di capire come mai un istituto che fattura 80 mila euro al giorno rischia ora il fallimento. Sprechi, investimenti sbagliati e strani finanziamenti, questi i principali fattori che suscitano critiche e dubbi. Negli anni passati il comando è passato tra le mani di Franco Decaminada, leader della congregazione e che nel 2008 si è comprato una villa milionaria in Toscana; Domenico Temperini, ex direttore generale che si occupava di organizzare incontri tra preti e politici; Giovanni Rusciano, che si doveva occupare della cassa dell’ospdeale e Antonio Nicolella, ex agente di una struttura coperta dei servizi segreti.
Il gruppo dirigente è stato poi sostituito con nomi nuovi, ma lascia a pensare la scelta del nuovo direttore Giuseppe Incarnato. Era stato licenziato nell’Ottobre del 2009 dall’Unicredit a causa di comportamenti che avrebbero esposto la Banca a rischi elevatissimi e di operazioni contabili delicate che avrebbe svolto in modo arbitrario, senza scordare che nel 2010 è stato rinviato a giudizio per concorso in truffa. Ancora più stupefacente sembra la scelta dei frati dato che il maggior creditore dell’Idi-San Carlo è proprio l’Unicredit, che ha prestato all’ospedale 100 mila euro.
Ultimo pezzetto del puzzle di Bertone è in Puglia, dove nel 2008 aveva mandato il suo amico Crupi a dirigere la Casa Sollievo della Sofferenza fondata da Padre Pio nel 1958. Nonostante questa scelta avesse destato maligni a Roma, secondo i sindacati il suo lavoro è stato positivo, riuscendo ad ottenere 14 milioni per le ricerche sulle cellule staminali per curare la Sla. Inoltre i costi sono diminuiti ed è riuscito a dare alle famiglie dei bambini malati di tumore la possibilità di “alloggiare” gratuitamente.
Inoltre, a Dicembre 2011 la Regione della Puglia aveva annunciato che avrebbe pagato 8 milioni in meno di quanto previsto. Questo ha scaturito la reazione dell’ospedale che ha denunciato al Tar le tariffe che rimborsa la Regione, che risultano essere molto più basse di quelle che avrebbero se fossero applicate le leggi nazionali. Un manager spiega che sarà difficile vincere, anche se quei soldi sarebbero potuti servire per nuovi investimenti.
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