«L’Europa forse è andata a cercare la propria morte in Ucraina», ha detto Emmanuel Todd intervistato da France Culture il 26 maggio: «Questa continuerà a disintegrarsi e la causa sarà l’Europa e non la Russia». E poi: «La parte orientale d’Europa è una zona di non-costruzione statale, di violenza. Qualcosa di malefico si sta preparando laggiù».
Una “legione tedesca” per combattere Kiev?
Mentre le truppe di Kiev, integrate da contractors americani, intensificano i massacri contro i russi di Donetsk, in un vero genocidio ad armi impari – con l’uso di bombardieri Su-25 ed elicotteri d’assalto contro i mal armati difensori – fra l’indifferenza ufficiale dei Governi europei, è invece la popolazione tedesca a dare segni di inquietudine e rivolta. Da settimane si susseguono, estendendosi a numerose città, le «manifestazioni del lunedì» Montagsdemos, in cui attivisti politici, gente dei media e comuni cittadini prendono il microfono per denunciare la NATO e le sue sovversioni, e il Governo di Berlino che partecipa all’opera di sovversione americana.
Non è solo che i tedeschi si sentono fisicamente e storicamente vicini (più di noi) all’Est, e quindi più coinvolti. È che in Germania vivono oltre tre milioni di russo-tedeschi, o tedeschi russofoni, arrivati dopo il collasso dell’URSS: quasi due milioni tornati di antica discendenza germanica fra il 1992 e il 2007 approfittando di una «legge del ritorno» che consentì loro di ottenere la cittadinanza, mezzo milione di russi immigrati per motivi economici, altri che abitavano nella Repubblica Democratica (Germania Est) come elementi dell’apparato imperiale comunista, e lì rimasti spiaggiati dopo l’unificazione delle due Germanie. Moltissimi i tedeschi dell’Est che parlano russo, membri del partito defunto, ma uniti da antiche fedeltà a Mosca, nostalgie sovietiche e ancora traumatizzati dalla scomparsa dello stato che fu il loro, la RDT; quindi ben capaci di immedesimarsi negli ucraini russofoni, sotto aggressione armata da parte del Governo di Kiev.
Questa gente ha cominciato a riunirsi un lunedì dopo l’altro, anzitutto per protestare contro le menzogne dei grandi media, ZDF, ARD, di cui – parlando loro il russo – erano ben coscienti; protestano inoltre per l’interdizione da parte del cosiddetto Governo di Kiev del partito comunista ucraino, e per il mancato riconoscimento del referendum di Crimea, con cui quella popolazione ha espresso la sua volontà di unirsi alla Russia, per il fatto che le truppe ucraine di Kiev si mostrino con uniformi palesemente fornite da Berlino. A poco a poco sono riusciti ad attrarre pacifisti tedeschi, esasperati dalla passività dei Verdi e del Linke (sinistra alternativa) che sono i partiti di riferimento del pacifismo, ma che ignorano la tragedia che avviene alle porte di casa. (L’Allemagne envoie des uniformes aux commandos ukrainiens)
È in questi gruppi che sarebbe nata l’idea di costituire una «legione tedesca» per andare a difendere i russi ucraini. Il periodico moscovita Kultura sostiene che 400 militanti sono disposti a partire. Si sono battezzati «Battaglione Thalmann» in onore alla legione comunista tedesca che andò a battersi contro i fascisti nella Guerra di Spagna del 1936, organizzata da Ernst Thalmann, capo del partito comunista tedesco clandestino sotto il nazismo e agitatore staliniano. «Adesso, dobbiamo andare contro i fascisti di Kiev», dicono. Il fatto che molti di loro sono veterani dell’Armata Rossa o ex membri delle truppe speciali tedesco-orientali conferisce una certa credibilità all’intenzione. In ogni caso, ecco un primo segno che la destabilizzazione occidentalista in Ucraina in funzione anti-russa, può avere contraccolpi inattesi nell’Ovest europeo. (La Germania invia uniformi ai commandos ucraini e i russofoni tedeschi si mobilitano e inviano combattenti antigolpe a Donbass, ndr)
Putin guarda a Marine Le Pen
Per esempio: «I risultati delle elezioni europee sono considerati con gioia al Cremlino. Molti commentatori in Russia hanno una visione molto diversa rispetto ai loro colleghi occidentali di quel che è accaduto. Laddove gli analisti occidentali parlano di trionfo dei partiti xenofobi e neofascisti, i russi vedono la vittoria di forze popolari anti-UER, anti-NATO e, in ultimo, anti-USA».
Così commenta un misterioso sito filo-russo eccezionalmente ben informato, The Vineyard of the Saker.
«Nel Front National» per esempio, «Mosca vede anzitutto un movimento anti-sistema, anti-capitalista, profondamente intriso dei valori come “Sinistra del lavoro, destra dei valori”, promossi da Alain Soral». Più in generale, considera che si sono affermati in Europa occidentale partiti che si oppongono al globalismo, alle entità sovrannazionali come la UE o la NATO, alla sistematica distruzione dei valori tradizionali europei, all’avventurismo aggressivo americano. «In altre parole – conclude Saker – quelli del Cremlino e il Front National coincidono in molte cose ed è un fatto che queste due realtà possono andar benissimo d’accordo. La Russia sembra contare sul fatto che la fine dell’anno potrebbe trovare un’Europa molto più amichevole».
Fino ad oggi, Putin ha mantenuto un’esemplare non-ingerenza nelle faccende europee, al contrario di quanto facciano gli europei (ed americani) in Ucraina e nella zona influenza russa. Ma ora che i suoi interessi strategici nazionali sono minacciati così gravemente, nulla assicura che Mosca non si metta ad applicare il «metodo Nuland» nei Paesi europei occidentali: ossia eccitare la sovversione interna, con l’organizzazione e il rafforzamento dei gruppi «populisti», il finanziamento ed addestramento per rivolte di piazza «à la Maidan» di malcontenti e dissidenti, creati in gran numero da una crisi che dura dal 2008, produce milioni di disoccupati e a cui l’Establishment europoide non ha intenzione di mettere rimedio, perché i rimedi sarebbero penalizzanti per finanza e banche.
Sventato il golpe americano in Crimea
E fino a che punto gli interessi vitali di Mosca siano minacciati, lo dicono le indiscrezioni di fonte russa sul perché Putin si sia affrettato ad occupare e dichiarare russa la Crimea. Aveva le prove che il colpo di Stato organizzato a Kiev nel febbraio scorso aveva uno scopo preciso: la neutralizzazione della forza di proiezione della flotta russa stazionata a Sebastopoli nel Mar Nero, e la sua sostituzione con la flotta USA.
Ricapitoliamo i fatti: il 18 febbraio 2014, il Parlamento ucraino è occupato dagli attivisti armati del partito neonazi Svoboda e Pravi Sektor; il 22 febbraio, il presidente Yanukivitch è costretto a lasciare Kiev, e il potere viene preso dai filo-occidentali. Immediatamente, viene nominato direttore dei servizi di sicurezza ucraini (USB) Valentin Nalyvaichenko.
Chi è costui? È un cittadino americano:
Guarda caso, il 13 febbraio uno dei quattro gruppi d’assalto aeronavali americani, formato attorno alla portaerei a propulsione nucleare George Bush (CSG-2), lascia la base navale di Norfolk per dirigersi nell’Egeo. La George Bush ha 102 tonnellate di stazza e 90 aerei a bordo; è accompagnata da 16 navi da guerra, fra cui l’incrociatore USS Philippine Sea, i lanciamissili Truxtun e Roosevelt, e tre sottomarini nucleari d’attacco.
Il 22 febbraio, quando Yanukovich è scacciato dal potere, il Gruppo aeronavale statunitense, e si appresta ad entrare nel Mar Nero attraverso il Bosforo. Ciò viola il Trattato di Montreux (1936) che consente il passaggio attraverso lo stretto dei Dardanelli soltanto di navi da guerra di stazza massima 45 mila tonnellate; ma – come ha rivelato il giornale turco Hurriyet citando fonti della Difesa di Ankara – le autorità turche hanno segretamente dato il permesso di entrata alla formidabile flotta americana. Questa è la flotta che avrebbe dovuto prendere il posto della Flotta del Mar Nero russa, nelle sue basi in Crimea.
Ci si aspettava evidentemente che anche la Crimea avrebbe «scelto la democrazia» e la flotta a stelle e strisce sarebbe stata accolta in festa. Invece la folla scende in piazza a Sebastopoli, e dopo giorni di assedio del Parlamento della repubblica autonoma di Crimea, caccia dal governo il Primo Ministro Anatoly Mohyliov, che aveva sùbito proclamato la sua fedeltà al Governo golpista di Kiev (anche se aveva comprato la carica donando a Yanukvich una lussuosa villa di vacanze a Yalta). Al suo posto viene votato Sergey Aksyonov, capo delle forze pro-russe. Il 6 marzo, il Parlamento autonomo di Crimea dichiara a maggioranza la scissione da Kiev e annuncia per il 16 marzo il referendum per la ricongiunzione della Crimea alla madrepatria russa.
Ciò ostacola, o fa fallire, il piano americano. Il 5 marzo, l’ordine iniziale ricevuto dal gruppo aeronavale è annullato, e il nuovo ordine gli ingiunge di fare rotta dal Pireo ad Antalya, base navale turca, e restare in attesa. I cacciatorpediniere USS Truxtun, USS Donald Cook e la fregata USS Taylor saranno le sole navi che saranno mandate in ricognizione ad incrociare davanti alle coste della Crimea del Nord, dal 7 marzo al 22 aprile, sotto pretesto di esercitazioni congiunte con le marine bulgara e romena.
L’aviazione militare russa ha rivelato ai media (russi) che la USS Donald Cook aveva lo scopo di perturbare la linea di dati tra le antenne riceventi del Centro Spaziale della Flotta russa nel Mar Nero e la rete di satelliti militari ELINT nello spettro elettromagnetico; complesso ed avanzatissimo sistema che trasmette alla Crimea i dati della sorveglianza elettronica dei radar e dei sistemi di navigazione della flotta americana, gli aerei di bordo e i missili anti-nave imbarcati. L’aviazione russa ha dovuto mettere fine all’azione della Cook facendo sorvolare due Su-24MP per 11 volte a raso-ponte la nave americana avendo a bordo sistemi di disturbo nella gamma di frequenze 12-18 GH, utilizzate per neutralizzare il radar di difesa attorno all’incrociatore USA.
Per di più, le forze speciali russe avevano la certezza che a bordo delle tre navi americane erano presenti sei gruppi di commandosciascuno formato da 16 elementi; pronti a raggiungere la costa nuotando sott’acqua, invisibili, costoro avrebbero dovuto compiere azioni di sabotaggio e soprattutto creare il panico tra la popolazione, per esempio provocando esplosioni su mezzi pubblici nelle ore di punta, facendo saltare edifici pubblici eccetera. Nell’imminenza del referendum di adesione della Crimea alla Russia, la paura seminata dai commandos si sarebbe tradotta in una minore partecipazione al voto da parte della popolazione, che avrebbe dato la scusa per invalidare l’elezione. Per evitare tale azione, «i russi hanno esercitato un controllo stretto e preventivo, impenetrabile».
La USS Donald Cook
Effettivamente, un sito della Crimea ha riferito che membri di commandos di alcuni Paesi NATO sarebbero stati catturati sulle coste, e dava come indizio il fatto che il procuratore generale di Crimea, la bella Natalia Poklonskaia di cui abbiamo già parlato, aveva assunto d’urgenza dei traduttori e interpreti in lingue di Paesi della NATO vicini dell’Ucraina e «aventi uno sbocco al mare» , il che poteva indicare la Romania. L’articolo con tali rivelazioni è stato prontamente ritirato per ordine superiore, perché in assenza di una dichiarazione di guerra contro la Russia, sarebbe stata una violazione patente, da parte della NATO, della Convenzione dell’Aia sulle leggi e gli obblighi di guerra: la prova insomma che l’Alleanza Atlantica conduce atti di guerra illegale, e a cui Mosca avrebbe dovuto rispondere con atti di guerra. Tuttavia una conferma indiretta dei fatti è venuta il 12 maggio 2014 dagli stesi eurocrati: i quali hanno aggiunto Natalia Poklonskaia, la procuratrice, alla lista delle personalità russe a cui è vietata l’entrata nei Paesi UE.
Sicché il referendum ha avuto luogo. L’83% della popolazione ha votato, e il 99,7 ha scelto la Russia. Di conseguenza, la flotta americana capeggiata dalla portaerei George Bush ha ricevuto l’ordine di abbandonare definitivamente la missione, di uscire dall’Egeo e dirigere su Bahrein.
L’importanza per Mosca di mantenere ad ogni costo Sebastopoli è dettata dall’enorme importanza assunta dalla Flotta del Mar Nero, recentemente rinnovata e dotata di 20 navi moderne, fra cui sei sottomarini, fregate lanciamissili specializzate nella ricerca radio-elettrica e disturbo, la nuova porta-elicotteri di classe Mistral fabbricata dai francesi. La Flotta comprende un potente corpo di spedizione (o di proiezione rapida) composta di truppe aerotrasportate e fanteria di marina. È appoggiata dalla quarta divisione aerea e da forze d’appoggio anti-aerei. Inoltre, una flotta indipendente di trasporto pesante, composta di 135 aerei Antonov-22, An-124, IL-76MD et An-12, assicurano la proiezione di 80 mila soldati del 49 e 58mo corpo d’armata. Questa forza di proiezione rapida è subordinata alla Flotta del Mar Nero, ufficialmente l’insieme è destinato a combattere «il terrorismo» (sic) nel bacino mediterraneo, in Africa orientale o in Medio Oriente fino al Golfo Persico.
Ma ancor più potente è la parte invisibile, o quasi, della Flotta: il centro di gestione delle missioni spaziali KIP-10, avente sede presso la Flotta del Mar Nero fin dai tempi sovietici, e che gestiva le missioni Saliout, Soyouz, Soyouz-Apollo e Lunokhod. Oggi il Centro Spaziale riceve i dati informativi dai radar antibalistici tipo Voronej-M (distanza del raggio: 6 mila chilometri) coordinati coi captatori ottici e laser situati a Lekhtusi (presso San Pietroburgo), Pionersi (Kaliningrad), Armavir (riva orientale del Mar Nero). Il Centro Spaziale riceve le informazioni dei satelliti d’allarme precoce KMO/K, capaci di scoprire dalla loro orbita i lanci di missili, da crociera o balistici. Il tutto si basa su antenne di 70 metri di diametro, come quella di Evpatoria in Crimea, riprodotta qui:
La disorganizzazione e neutralizzazione di questo centro nervoso cruciale situato in Crimea è chiaramente la prima mira del Pentagono, perché ha di fronte qu il più grave ostacolo alla sua egemonia e alla sua espansione verso l’Asia centrale. A questo punto, sembra proprio che il golpe provocato a Kiev, con la messa al potere di un Governo fantoccio «democratico», avesse questo scopo come primario, e l’adesione di Kiev alla NATO solo secondaria. Contavano su una elezione presidenziale e nel trionfo di un potere «democratico», che avrebbe ingiunto ai russi di sloggiare la base, e avrebbe invitato al loro posto gli americani.
La fretta però li ha traditi; credendosi ormai padroni della situazione, hanno dispiegato prematuramente un intero squadrone di droni (aerei spia senza pilota) di ricognizione a Dnepropetrovsk; questi sorvoli al disopra della Crimea prima dell’annuncio del referendum avrebbero rivelato ai russi (all’ascolto sotto le loro antenne) le vere intenzioni USA.
di Maurizio Blondet
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