E adesso la Regione Sicilia, la più spendacciona d’Italia, è rimasta senza i soldi per pagare gli stipendi. «Problema risolvibile in pochi giorni» si affrettano a rassicurare i funzionari delPalazzo dei Normanni. Perché, spiegano, la questione è puramente tecnica, frutto di una causa vinta da settanta dipendenti che esigevano arretrati non riconosciuti e che hanno ottenuto il pignoramento precauzionale dei denari da loro reclamati. E sarà pure così, ma intanto per qualche giorni impiegati e dirigenti siciliani rimarranno senza stipendio e soprattutto, nei giorni in cui le spese folli delle Regioni tengono banco, la notizia non fa che alimentare la confusione.
Del resto, di confusione ce n’è già tantissima sotto il cielo dei Consigli regionali. Da quando è divampato il caso Lazio, in ogni parte della Penisola tutti vogliono capire chi spende di più, chi spende di meno, chi spende troppo e chi spende senza controlli. E poiché nessuno sente di avere la coscienza a posto, ora è nata pure una corsa alla riduzione repentina dei rimborsi di cui godono gruppi politici e singoli consiglieri. Ultimo caso la Campania che ieri, in quattro e quattr’otto, ha approvato il taglio del 50 per cento dei fondi per i partiti.
Adesso anche la Conferenza delle Regioni ha deciso di darci un taglio. Sono già andati da Napolitano per presentare una proposta di legge in grado, a detta loro, di rendere trasparenti i conti pubblici e di sanzionare le Regioni che non riducono le spese. Ottime intenzioni, anche se la prima cosa che dovrebbero fare è mettere un po’ d’ordine nel loro caos. Con la scusa che ogni Assemblea decide come meglio crede, infatti, le furberie vengono nascoste proprio nel labirinto di normative indecifrabili, di indennità che si sommano a diarie, a rimborsi spese, a contributi vari.
Per esempio: la voce «sostegno alle spese dei gruppi consiliari». Nel Lazio è stata la pietra dello scandalo, altrove fanno orecchie da mercante ma la situazione non appare migliore. In Sicilia ai partiti rappresentati nell’assemblea regionale finiscono più di 13 milioni di euro l’anno. In Lombardia 12 milioni e rotti. Si dirà: regioni grandi, spese grandi. Però si dovrebbe anche spiegare la ragione per cui in Puglia e Toscana, che proprio piccole non sono, gli stessi fondi per i partiti non superano il milione di euro.
Secondo una classifica pubblicata in questi giorni, le spese allegre delle Regioni per mantenersi e soprattutto per mantenere «gli eletti» hanno ricadute più o meno pesanti sui cittadini che con le loro tasse danno sostentamento a partiti e consiglieri. In Basilicata e Campania ogni residente mette meno di un euro l’anno per dar da vivere ai gruppi politici rappresentati in Consiglio. Ma se ci si sposta un poco a sud, in Calabria, gli euro diventano due a testa. Un po’ più a nord, in Molise, gli euro diventano più di sei. Perché mai?
Il caso del Molise è davvero emblematico. Il governatore della regione più piccola d’Italia (esclusa la Valle d’Aosta) ogni volta che gli rinfacciano di avere spese altissime rispetto al numero dei residenti spiega che proprio perché piccoli hanno costi pro capite più alti. Ed è logico. Però non spiega la ragione per cui i diciassette partiti (diciassette!) rappresentati nel Consiglio regionale incassano complessivamente oltre due milioni di euro di paghetta, quattro volte più delle Marche, e quattro volte più della Basilicata.
Se si mettono insieme i fondi che tutte le Regioni italiane elargiscono ai gruppi politici si arriva a superare quota 80 milioni l’anno. Una malloppo che da più parti viene sperperato senza che nessuno debba darne conto. Ci sono infatti Regioni (poche) dove i gruppi consiliari hanno l’obbligo di presentare i rendiconti delle spese sostenute, ma ce ne sono altre (la maggior parte) in cui i denari vengono dati a forfait. Della serie: prendeteli e fatene ciò che volete. Tanche che poi quando la magistratura è intervenuta - vedi Lazio - ha scoperto l’impensabile.
Altre sorprese emergono se si mettono insieme i costi complessivi delle macchine regionali. Cioè: stipendi per il presidente e gli assessori, stipendi per i consiglieri, fondi di sostegno ai gruppi politici, rimborsi spese per tutti, costo dei dipendenti. Viene fuori che il Veneto costa più della Lombardia - 70 milioni e mezzo contro 67 e mezzo - nonostante abbia la metà degli abitanti. E che la Regione Molise (sempre lei!) costi esattamente come l’Emilia Romagna, cioè 36 milioni di euro l’anno, anche se è tredici volte meno popolata.
Del resto, di confusione ce n’è già tantissima sotto il cielo dei Consigli regionali. Da quando è divampato il caso Lazio, in ogni parte della Penisola tutti vogliono capire chi spende di più, chi spende di meno, chi spende troppo e chi spende senza controlli. E poiché nessuno sente di avere la coscienza a posto, ora è nata pure una corsa alla riduzione repentina dei rimborsi di cui godono gruppi politici e singoli consiglieri. Ultimo caso la Campania che ieri, in quattro e quattr’otto, ha approvato il taglio del 50 per cento dei fondi per i partiti.
Adesso anche la Conferenza delle Regioni ha deciso di darci un taglio. Sono già andati da Napolitano per presentare una proposta di legge in grado, a detta loro, di rendere trasparenti i conti pubblici e di sanzionare le Regioni che non riducono le spese. Ottime intenzioni, anche se la prima cosa che dovrebbero fare è mettere un po’ d’ordine nel loro caos. Con la scusa che ogni Assemblea decide come meglio crede, infatti, le furberie vengono nascoste proprio nel labirinto di normative indecifrabili, di indennità che si sommano a diarie, a rimborsi spese, a contributi vari.
Per esempio: la voce «sostegno alle spese dei gruppi consiliari». Nel Lazio è stata la pietra dello scandalo, altrove fanno orecchie da mercante ma la situazione non appare migliore. In Sicilia ai partiti rappresentati nell’assemblea regionale finiscono più di 13 milioni di euro l’anno. In Lombardia 12 milioni e rotti. Si dirà: regioni grandi, spese grandi. Però si dovrebbe anche spiegare la ragione per cui in Puglia e Toscana, che proprio piccole non sono, gli stessi fondi per i partiti non superano il milione di euro.
Secondo una classifica pubblicata in questi giorni, le spese allegre delle Regioni per mantenersi e soprattutto per mantenere «gli eletti» hanno ricadute più o meno pesanti sui cittadini che con le loro tasse danno sostentamento a partiti e consiglieri. In Basilicata e Campania ogni residente mette meno di un euro l’anno per dar da vivere ai gruppi politici rappresentati in Consiglio. Ma se ci si sposta un poco a sud, in Calabria, gli euro diventano due a testa. Un po’ più a nord, in Molise, gli euro diventano più di sei. Perché mai?
Il caso del Molise è davvero emblematico. Il governatore della regione più piccola d’Italia (esclusa la Valle d’Aosta) ogni volta che gli rinfacciano di avere spese altissime rispetto al numero dei residenti spiega che proprio perché piccoli hanno costi pro capite più alti. Ed è logico. Però non spiega la ragione per cui i diciassette partiti (diciassette!) rappresentati nel Consiglio regionale incassano complessivamente oltre due milioni di euro di paghetta, quattro volte più delle Marche, e quattro volte più della Basilicata.
Se si mettono insieme i fondi che tutte le Regioni italiane elargiscono ai gruppi politici si arriva a superare quota 80 milioni l’anno. Una malloppo che da più parti viene sperperato senza che nessuno debba darne conto. Ci sono infatti Regioni (poche) dove i gruppi consiliari hanno l’obbligo di presentare i rendiconti delle spese sostenute, ma ce ne sono altre (la maggior parte) in cui i denari vengono dati a forfait. Della serie: prendeteli e fatene ciò che volete. Tanche che poi quando la magistratura è intervenuta - vedi Lazio - ha scoperto l’impensabile.
Altre sorprese emergono se si mettono insieme i costi complessivi delle macchine regionali. Cioè: stipendi per il presidente e gli assessori, stipendi per i consiglieri, fondi di sostegno ai gruppi politici, rimborsi spese per tutti, costo dei dipendenti. Viene fuori che il Veneto costa più della Lombardia - 70 milioni e mezzo contro 67 e mezzo - nonostante abbia la metà degli abitanti. E che la Regione Molise (sempre lei!) costi esattamente come l’Emilia Romagna, cioè 36 milioni di euro l’anno, anche se è tredici volte meno popolata.
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